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Appuntamento con lo sport: la Matjan Academy

Per questo giovedì continua il nostro viaggio tra gli sport di contatto con il Pukulan

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Percorrendo via Madonna delle Grazie nessuno penserebbe mai che al civico 26B, premendo il tasto del citofono corrispondente al nome Matjan Academy, si possa entrare in un mondo parallelo al nostro. Come anticipato lunedì (l'articolo di riferimento si trova qui) ci siamo occupati delle peculiarità di un’arte marziale particolare conosciuta con il nome di Pukulan. In una palestra che sembra un’oasi orientale, Ottavio Tramonte e Walter Van Den Broeke ci hanno accompagnato in questo nuovo servizio.

L’intervista

Da quanto ho capito la tua scuola è nata da poco, come ti è venuta la voglia di metter su questa realtà?
Esatto, io ho cominciato ad avere iscritti nella mia scuola a partire da marzo 2014. Non ti nego che ho cominciato già da prima a metter su un discorso del genere con quella che avevo, un po’ ironicamente, chiamato la Tana delle Tigri. Durante quel periodo mi allenavo insieme ad altri ragazzi dai quali poi, per le vicissitudini della vita, mi sono dovuto allontanare sino a prendere la decisione di aprire una scuola mia.
Nel corso dell’esistenza della Tana delle Tigri noi non chiedevamo nulla, ma ci allenavamo solo per puro piacere, dividendo le spese di affitto. Voglio aggiungere che lo stile di combattimento che praticavamo allora è più complesso in termini di apprendimento, al contrario quello che insegno qui nella scuola, il Pentjak Silat Bukti Negara, appare molto più semplice anche da insegnare, infatti posso aggiungere che da marzo ad oggi siamo arrivati a quota sessanta iscritti.

Ci hai accennato ad uno stile di combattimento, ci spieghi, in pratica, cosa intendi?
Dunque, per fare questo è necessaria un po’ di 'storia' dell’arte marziale. Tutto è cominciato in Indonesia, quando l’arcipelago era ancora colonia olandese. In quelle zone era cominciata a nascere una parte della popolazione creola, cioè i bambini avevano padre olandese e madre indonesiana. Le norme restrittive del regime non permettevano l’aggregazione di persone pertanto le tecniche fino ad allora sviluppate erano tenute in gran segreto. Solo nel secondo dopoguerra e dopo la decolonizzazione gli stili di combattimento sviluppati sono stati resi noti alla popolazione generale. Tutti però convergono in un’unica filosofia: ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Ciò detto, il Pentjak Silat Bukti Negara, ha preso avvio negli anni settanta quando Paul de Thouars emigrò in America rendendo noto ai più questo stile preciso.
Semplificando, quindi, quello che era lo stile originario attraverso il Bukti Negara si è potuto arrivare ad una pubblicità più ampia. Tutt’oggi il vero intento di questa pratica è l’autodifesa attraverso l’utilizzo di movimenti fluidi e rapidi ottenibili solo attraverso l’utilizzo di alcuni principi tecnici come biomeccanica, fisica del movimento e geometria. Tutto questo tende ad una sola situazione: l’intercettazione e la neutralizzazione di una minaccia.

Tu però hai praticato altre discipline prima del Pukulan, come hai deciso di abbandonare quello che già conoscevi?
Proprio così, nel corso della mia vita ho praticato numerose arti marziali. Ho cominciato da ragazzino e nel corso degli anni mi sono reso conto che in tutte queste si arrivava ad un apice. In seguito al raggiungimento di questo traguardo era impossibile migliorare per una questione di prestanza fisica. Solo sette anni fa ho avuto l’occasione di conoscere Walter; quest’incontro mi ha fatto notare come il Pukulan sia una disciplina in cui non si smette mai di imparare e nella quale non si percorre una parabola discendente come negli altri sport.
Ti basti osservare i movimenti di Walter per capire come, anche a cinquantuno anni, si può continuare ad apprendere confrontandosi con praticanti più giovani e più forti sotto l’aspetto fisico. Inoltre, ti posso dire che, anche dedicandoci anima e corpo, allenandosi sette giorni su sette, in questo sport non si arriva mai ad un livello di conoscenza assoluto e proprio per questo io ne ho fatto il mio lavoro, che è poi anche la mia passione.

Osservandovi, anche nel corso del seminario di sabato e domenica, ho notato che alcuni di voi indossano delle cinture di colore diverso. Indicano il livello di combattimento raggiunto oppure hanno un valore più marginale? Ad esempio ieri notavo che la tua ha un colore diverso da quella di Walter, qual è la differenza?
No, la cintura che vedi non è un indicatore di livello anzi, in questo stile di combattimento la cosa veramente fondamentale è l’assenza di ego. Questo che indosso io attorno alla vita è un sarong, un drappeggio del vestiario indonesiano. Noi lo utilizziamo semplicemente per distinguere quelli che chiamiamo group leader (chi dirige un gruppo), ma questi non sono maestri proprio perché non si sentono tali. Tornando a Walter ti posso dire che, nonostante pratichi Pukulan da diversi anni, non si ritiene un maestro ma dice che il suo insegnante era un maestro, non a caso si trattava di Paul de Thouars. Per passare ai colori l’unica cosa che indicano sono la regione di origine indonesiana.

Hai accennato all’utilizzo della geometria, della fisica e della biomeccanica. Chi vuole avvicinarsi a questo sport e riuscire ad ottenere dei risultati deve avere delle particolari caratteristiche?
Allora per quanto riguarda il Bukti Negara ti posso dire con certezza che chiunque può avvicinarsi e praticarlo, non a caso è stato sviluppato e reso noto, come dicevo prima, per rivalutare e far conoscere la disciplina. Non ti nego che porto avanti anche corsi con dei ragazzini di età inferiore ai dieci anni che, solo dopo un po’ di pratica cominceranno ad allenarsi come noi. Inoltre essendo una variante del Pukulan piuttosto moderna non ci sono manuali su cui trovare delle informazioni ma l’importante è che ogni praticante riesca a dare il proprio meglio con il proprio corpo. È chiaro che per me questo stile rappresenta una sorta di filtro attraverso il quale posso capire chi ho davanti e se è il caso di portarlo ad un livello superiore quale il Pukulan Pak Flohr Cabang Serak. La selezione, se così vuoi chiamarla, la si fa in base alle capacità che il praticante mette in atto davanti a me dimostrandomi una decisa conoscenza del movimento all’interno di determinati schemi.

A proposito di schemi ho notato che a terra ci sono disegnati dei quadrati e dei triangoli. A cosa servono?
Ecco, quelli sono gli schemi a cui ti accennavo. Quei disegni che vedi sul tappeto non sono casuali, ma servono ad accrescere la consapevolezza del praticante. Per questo motivo i nostri allenamenti si svolgono soprattutto in base a quelle figure. Le linee interne a quelle figure geometriche stanno a indicare le linee forti o deboli del corpo umano, in questo modo comincia ad entrare, nel nostro discorso, l’attenzione alla biomeccanica.

Domenica ho notato che vi allenate nel più totale silenzio, come mai questa situazione?
Vero, noi ci alleniamo senza musica e senza nessun tipo di espressione vocale. Tutto questo perché ci impegniamo a combattere utilizzando molto la respirazione, un po’ in stile yoga. Cerchiamo, quindi, di gestire al meglio l’adrenalina in circolo per poter portare avanti un’autodifesa efficace che rende anche più sicuro il praticante. A mio avviso acquisendo una determinata sicurezza si evitano anche delle situazioni spiacevoli che possono portare all’utilizzo di questa arte all’infuori della palestra. Mi spiego meglio, ovviamente chi è insicuro ha la necessità di dimostrare qualcosa mentre chi ha piena consapevolezza di sé evita di cadere nelle provocazioni oppure evita proprio di farle. È logico ch più tardi si arriva al contatto fisico meglio è, anche sapendo tergiversare o tentando di acquietare la situazione. Walter dice sempre che se qualcuno ti infastidisce bisogna offrirgli una birra, se questa non basta bisogna tentare di sistemare la situazione con una seconda birra. Se però anche questa seconda non è sufficiente si può passare al contatto fisico.

Invece se qualcuno volesse avvicinarsi a questo sport qui a San Salvo come può fare?
Considera che noi lavoriamo molto con il passaparola, molti dei ragazzi sono entrati qui in seguito ad una presentazione da parte di un altro componente del gruppo più 'anziano', ma è logico che se qualcuno volesse cominciare senza nessun tipo di presentazione può contattarmi sia su facebook che al cellulare senza nessun tipo di problema. Inoltre noi ci alleniamo sul tatami, una resina in grado di ammortizzare gli urti, per questo sono anche minimi i rischi di farsi male sul serio.

Chiudiamo con delle domande rivolte direttamente al maestro Walter Van Den Broeke

Tu sei olandese, ma il Pukulan è nato in Indonesia. Come ti è nata questa passione?
Beh, tutto è cominciato guardando dei combattenti olandesi che provenivano dall’Indonesia con origini creole. Ho cominciato giovanissimo ad avvicinarmi alla pratica del Pukulan e grazie al mio maestro sono riuscito ad arrivare dove sono ora, questo non senza sacrifici. Ci sono stati diversi anni in cui non ho fatto altro che allenarmi riuscendo a raccogliere l’eredità di Paul de Thouars, ma non senza una profonda devozione.

Io ho saputo che ci sono poche scuole in Italia, da quando hanno cominciato a svilupparsi?
È vero le scuole non sono tantissime, ma da quando sono nel direttivo della PDT, quindi da circa due anni, cerco di espandere quanto più possibile il mio stile allargando le scuole in cui lo si può praticare. Ovviamente i miei allievi diretti sono pochi, ma è chiaro che quello che si insegna nelle scuole di Pukulan è uno stile meno raffinato e più adatto alla comprensione di chiunque voglia cominciare.

Ultimissima domanda: come è stata la tua visita in questa scuola e in questa città? Tra quanto pensi di tornare?
Conoscevo già San Salvo, visto che vengo qui già da diverso tempo. Per questo motivo non è stata una scoperta per me, però mi piace molto venire qui e trovare un così bel gruppo di ragazzi che si impegna a migliorare. Non so ancora con esattezza quando tornerò visto che sono impegnato in giro per il mondo con tutte le scuole affiliate. Spero di tornare quando farà caldo per poter andare al mare e sicuramente non prima di sei mesi. Magari la prossima volta ci incontreremo a San Salvo beach.

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