San Salvo. Mario Argirò: i semi con i gameti della sua futura stirpe

Angiolina Balduzzi
27/03/2012
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A proposito dell’universale problema post-esistenziale, una copiosa filosofica letteratura di tutti i tempi segue divergenti filoni ideologici: chi crede che, dopo la morte, continueremo a vivere; chi, invece, è certo che della vita, dopo la morte, nulla resterà. Nicola Argirò, mio ex alunno, già dal lontano anno scolastico 1981, aveva imparato, durante le lezioni di italiano che, secondo Foscolo, “Sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna” e che, a conclusione del famoso carme “i Sepolcri” , ” la poesia vince di mille secoli il silenzio”, insomma che la vita,se vissuta con finalità benefiche a livello morale, sociale o artistico, non avrà mai termine e sarà di esempio alle generazioni future. Genitore esemplare, ha vissuto sempre con grande dignità e laboriosità, da meritare il riconoscimento della foscoliana “eredità d’affetti” , inoltre Don Mario con quella riverenza delle antiche famiglie di una volta, sapeva dare a tutti grande rispetto. La sua compostezza elegante e riservata, la sua voce silenziosa ma incisiva, il suo costante sorriso ricordavano molto gli ottocenteschi intellettuali “caovouriani” della sua Torino ma non si scontravano con la risolutezza tempestiva, la tenacia laboriosa del rude e sofferto meridione, coniugando con le sue origini nel Sud la sua crescita nel Nord, e realizzando l’esemplare riuscito connubio fra “la gentile settentrionale Donna Matilde” ed “il generoso meridionale Barone Argirò”. “Imprenditore lungimirante” come lo chiamava il Ministro Gaspari, aveva anticipato i tempi per il benessere di San Salvo, che amava come un verace paesano, tanto da scegliere anche di abitarci, al contrario di altri dirigenti industriali arrivati con le loro grosse cilindrate solo per investire e gestire, senza spendere una lira a vantaggio della nostra economia. Don Mario, mentre realizzava grandi opere con infiniti posti di lavoro, ha voluto metterci le sue radici e farle radicare nella cappella di famiglia del nostro cimitero. Un giorno, come spesso facevo, mi sono soffermata per carpire da lui, novantacinquenne maestro di vita, quel sapere veterano che sui libri non c’è : tra l’altro mi disse che alla ginnastica fisica egli aggiungeva sempre quella mentale, leggendo libri e giornali , studiando con i suoi nipoti, ma, soprattutto, facendo difficili cruciverba ; ho scoperto così che Don Mario, abituato a pensare per risolvere quotidiani problemi aziendali, ha continuato sempre a farlo, alimentando ogni giorno la sua mente galoppante. La magnanimità di tale grande uomo risplendeva di quell’indimenticabile luminoso sguardo rassicurante, come la luce del sole che sbalordiva, talvolta, anche la pioggia negli stadi della sua amata Juventus . I tanti manifesti tappezzati sui muri del paese con il suo nome hanno sbalordito e dimostrato che tanta, tanta, tanta gente, disparatamente diversa lo conosceva, lo apprezzava e lo amava con lo stesso amore che Don Mario riteneva essere l’unico mezzo per raggiungere la vera felicità. Per tale convinzione il suo grande cuore dalla sua nuova dimora in Paradiso, continuerà ad elargire favori, protezioni, serenità e tanto amore. Pensando ad un logo rappresentativo della sua esistenza, mi viene in mente una metaforica, gigantesca quercia secolare che, oltre a rappresentare la forza, il conforto, la resistenza e la longevità, affonda le radici nella terra delle proprie tradizioni , cospargendo i semi con gameti genetici della sua futura stirpe.

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