Autoporto di San Salvo, quei 33 milioni di euro che giacciono nella zona industriale

La struttura versa in stato di abbandono, mentre non si vede una soluzione vicina all'orizzonte

Antonino Dolce
19/09/2012
Attualità
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LA STORIA. Nel 1986 gli Europe sfornavano l’album di successo The Final Countdown. Nello stesso anno partiva un altro conto alla rovescia: quello che scandisce il tempo restante all’apertura dell’autoporto di San Salvo. La storia inizia più di vent’anni fa, quando la prima amministrazione guidata da Arnaldo Mariotti cerca un rimedio alla sosta dei tir lungo le strade di Piana Sant’Angelo. La soluzione individuata è semplice: un piazzale dotato dei servizi essenziali per i camionisti che da tutta Europa arrivano a San Salvo e ci restano per giorni in attesa di caricare. Spesa prevista: circa 500 milioni di lire. Nello stesso periodo è la Regione a chiedere la realizzazione di un autoporto, nell’ottica di un grande piano logistico incentrato sull’interporto di Manoppello. È il Co.A.S.I.V. a presentare il progetto poi approvato. I lavori per la realizzazione cominciano a cavallo fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Per i fondi si attinge alla Cassa del Mezzogiorno, all’epoca ancora attiva, e alla Comunità Europea, ancora di manica larga. Come accade spesso i tempi si allungano e i costi lievitano. Insorgono problemi con l’Anas riguardo agli accessi sulla Statale 650 – la ‘Trignina’ – e il progetto è da modificare.

L'INAUGURAZIONE. Nel 2005 mancano ancora tre lotti e i soldi sono finiti. Si decide quindi di completare i lavori con i fondi locali del Co.A.S.I.V., presieduto all’epoca dall’avvocato Fabio Giangiacomo, e del Distretto industriale guidato da Arnaldo Mariotti. I lavori terminano tre anni dopo. E i numeri sono da grandi aspettative: 48 piazzali, edificio uffici e bar-ristoro, magazzino ‘gomma-gomma’ ecc. Il tutto distribuito su 84mila metri quadri di estensione per una spesa complessiva che sfora i 33milioni di euro. Nel luglio 2008 è tutto pronto per l’inaugurazione quando scoppia lo ‘scandalo Del Turco’ e parte della giunta regionale viene arrestata. La cerimonia è posticipata al 6 settembre dello stesso anno e ufficializza la ‘riconsegna delle chiavi’ della struttura alla Regione che la commissionò. Nel frattempo si registrano i primi atti vandalici e le proteste dei proprietari di alcuni appezzamenti di terra espropriati. La fine dei lavori non coincide con l’apertura del sito, anzi. Le strade di accesso dalla Fondo Valle Trigno vengono chiuse per evitare le visite dei malintenzionati e l’autoporto si arena.

OGGI. Quattro anni dopo non si vedono spiragli, nonostante le interpellanze bipartisan in Regione (l’ultima a firma di Paolo Palomba e Nicola Argirò). Lo scoglio sta nella formazione di una società di gestione mista pubblico-privata. Una legge nazionale del 2010 vieta ai Comuni al di sotto dei 30mila abitanti di farvi parte e i privati latitano. I grandi gruppi della zona industriale, Denso, Conad Adriatico e Pilkington pare abbiano espressamente ripetuto il loro «non ci interessa».
Nel frattempo le strutture mostrano tutti i segni del tempo e dei ripetuti furti subiti. Il materiale elettrico e ferroso è sparito da entrambi i grandi capannoni. Gravi i danneggiamenti ai soffitti e ai quadri elettrici. Emblematico un tubo che gocciola da chissà quanto tempo. Gli unici occupanti attuali degli edifici sono i piccioni, ma non mancano tracce di bivacchi passati. La vegetazione ha preso possesso delle rampe di accesso alla Trignina.

Nicola Argirò, consigliere regionale e presidente della IV Commissione, quantifica in 50mila euro l’ulteriore spesa per un eventuale recupero e prova a indicare qualche sbocco alla questione ormai ventennale: «C’è una proposta del Pd in Regione per consentire ai Comuni al di sotto dei 30mila abitanti di entrare nelle società di gestione. La Regione è pronta a fare la propria parte con una quota del 15%. In alternativa c’è la vendita ai privati, così come previsto dalla Spending Review. L’altra via è quella del coinvolgimento della Sangritana per realizzare uno snodo ferroviario che congiunga la zona industriale con il porto di Punta Penna. In questo modo anche i grandi gruppi presenti potrebbero essere nuovamente interessati. La certezza è che dovrà essere una struttura in grado di autofinanziarsi, magari anche con albergo e ristorante per gli autotrasportatori».
L’interesse dei privati è il vero nodo della questione. Difficile che non volendo entrare nella società di gestione possano preferire l’acquisto in toto.


Fabio Giangiacomo, presidente del Co.A.S.I.V. dal 2005 al 2009, chiama la Regione a una soluzione urgente: «L’errore clamoroso è stato non permettere la gestione provvisoria del Co.A.S.I.V., in questo modo sarebbe almeno partito. Ora bisogna sganciare le sorti del sito da quelle dell’interporto di Manoppello per dare una boccata d’aria a tutto il Vastese. Non mi sorprende che le grandi multinazionali si siano chiamate fuori. I grandi gruppi hanno le funzioni di autoporto al loro interno, adesso bisognerebbe concentrarsi sulle piccole e medie imprese. Le strutture che ci sono si possono usare per magazzini frigoriferi, meccanici, una scuola guida per la patente dei mezzi pesanti. La Regione è stata ferma per troppo tempo, la verità è che ora non sanno cosa fare con l’autoporto di San Salvo. Non mi sorprenderebbe un intervento, prima o poi, della Corte dei conti».
Insomma, certezze non ve ne sono e l’impressione è che il conto alla rovescia iniziato più di vent’anni punti una data ancora indefinita e nebulosa.

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