L’ultimo Salvo è tornato a San Salvo

La storia di Salvo Passucci

Ines Montanaro
22/09/2014
Varie
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Mamma mia dammi cento Lire...

Le cento lire del celebre canto – forse sconosciuto ai giovani d’oggi – erano quelle della melodia/dialogo tra madre e figlio/a che, nel secolo scorso, emigravano in cerca di sopravvivenza e fortuna. Il figlio/a chiedeva, la madre..rispondeva: «cento lire, si te li dò, ma in America no e poi no...».

Anche Salvo Passucci - l’ultimo sansalvese che i registri parrocchiali di battesimo riportano con questo nome a tutt’oggi - e, soprattutto sua madre, lo avranno cantato tante volte con la voce o la struggente memoria del cuore. La sua storia, è simile a quella di tanti di noi emigrati nel secolo scorso, nelle Americhe prima e, in Nord Europa poi, ma diversa, perché, il nostro Salvo, lo ha vissuta decisamente in modo più caparbio e fruttuoso.

Salvo, anzi Salvò - con l’accento sulla ”ò” - come la consorte francese Josephine lo chiama, non è la prima volta che torna a San Salvo, ma la prima che viene con la consapevolezza di essere l’ultimo sansalvese che porta il nome del Santo per antonomasia di questa città. L’articolo precedente Il più antico sansalvese di nome Salvo, è stato rilanciato - alla nostra e sua attenzione - dal suo amico Umberto Di Biase. Una felice intuizione - dopo la storia dell’ipotetico primo Salvius - ci ha fatto cercare e scovare l’ultimo Salvo anche con l’aiuto della sig.ra Maria Grazia Galli e il sig. Nicola Artese (quest’ultimo suo compagno di Scuola Elementare).

A Salvo, fu dato questo nome, quando vi era ancora la bella consuetudine di chiamare i bambini/e con il nome del Santo protettore del paese e, perché, così si chiamava il nonno paterno. Per il nome di un bambino - in passato - entravano in campo la continuità degli affetti familiari e quel volerlo affidare alla protezione e benedizione di un Santo. Una regola che valeva per i neonati come per la chiesa, le case come le strade, i campi e le botteghe, il lavoro e le famiglie tutte. Protezione e benedizione - quelle di Santo Salvo - che hanno accompagnato Salvo ovunque. Altrettanto dicasi per tutti i Vitale e San Vitale.

È bene precisare che il nome Salvo, nel suo caso, non è un diminutivo e neppure un abbreviativo di Salvatore. Come lui afferma: “ è «"Salvo”... e basta». Così decise la famiglia, per la devozione al Santo di cui la nostra città porta il nome e, per rispetto e affetto, al nonno Salvo Passucci. I suoi nonni paterni poi, sono campioni della tradizione religiosa locale. Essi si chiamavano Salvo e Vitalina, più salvanesi di così si muore!

In principio fu la bella città di Colmar (Alsazia) che lo accolse - nel 1973 - in casa di zia Bice, con la sua valigia di cartone e tanti sogni. Da bambino, Salvo, fu notato per la sua intelligenza e vivacità da don Beniamino vice parroco di don Cirillo, il quale, convinse la famiglia a fargli completare la scuola dell’obbligo in un convitto salesiano a Francavilla D’Ete (Mc). Terminato il primo ciclo di studi, s’iscrisse all’allora IPSIA di San Salvo, dove conseguì il diploma di Elettrotecnico. Da ragazzino egli aiutava l’amico Umberto Di Biase e suo fratello Antonio, proprietari del Cinema Biagino, di cui tutti abbiamo memoria, come operatore cinematografico. Si! Chi ricorda, non potrà non associarlo al Totò del celebre film Nuovo cinema Paradiso, ma anche la sua fisionomia da giovanissimo è un deja vu: alla generazione precedente, appare somigliante al Lucio Battisti dei primi successi.

Il primo viaggio a Colmar in Francia, fu per passare un periodo di vacanza con la zia materna, la quale lavorava nell’industria tessile Saic Veccorex groupe DMC. Per caso, un giorno, passeggiando insieme, incontrarono il capo del personale di questa azienda e, dallo scambio di saluti, nacque la richiesta/proposta di un Elettrotecnico specializzato di cui la fabbrica aveva bisogno. La Provvidenza però, aveva deciso diversamente. Dopo una quindicina di giorni, si assentò un operaio del reparto tintoria e, Salvo Passucci, fu chiamato a sostituirlo. Per il ragazzo, fu l’inizio di un avventura e una fortuna straordinaria. Egli, infatti, venne scelto insieme ad un altro giovane - tra 350 dipendenti - per frequentare una Università che lo laureò ingegnere Chimico tessile.

Non fu solo don Beniamino ad accorgersi delle capacità che il suo visino da scugnizzo rivelava, ma anche il suo datore di lavoro. Salvo accettò e, la fabbrica, gli pagò un regolare stipendio in cambio di soli due giorni di lavoro a settimana. Per contro, egli, doveva recarsi in tutti gli altri giorni utili - con la sua auto - a scuola fino a Mulhouse, circa 120 km al giorno.
Di ritorno a casa, la sera - come diceva Leopardi - lo attendevano: «lo studio matto e disperatissimo» e le «sudate carte» e, in una lingua, che non era la sua. Il giovane Salvo però, aveva intuito che, in quel lavoro, poteva realizzarsi mettendo in gioco le sue molteplici capacità. Passarono così 2 anni, allo scadere dei quali, dovette scegliere tra il fermarsi ad una preparazione solo propedeutica o laurearsi. Salvo non mollò ma, accettò la sfida di lavorare come Responsabile fisso del turno di notte per andare a scuola di giorno.

A quel punto però, la frequenza, non era più bi-settimanale, ma quotidiana. Quale vita fece per altri 3 anni il nostro compaesano tra: il viaggiare, lavorare e studiare, non sa dirlo neanche lui.
Il 'gran finale' arrivò con il titolo di Ingénieur produtctique en innoblissement textil, unitamente alla promozione a Direttore tecnico dell’intero Gruppo, che possedeva ben 15 fabbriche disseminate per il mondo. Dopo 25 anni trascorsi a Colmar, da un giorno all’altro, gli affidarono la direzione di un’altra fabbrica, sempre in Francia, ma a Grenoble. Lì, sposa Josephine, sua compagna di scuola dai tempi dell’università, con la quale ha condiviso - insieme alle due figlie - vita, spostamenti e sacrifici.
A Grenoble, la famiglia Passucci resta tre anni. Sembrava una situazione in via di stabilizzazione ma, l’azienda lo invia ancora una volta in una fabbrica nascente in Messico. Uno spostamento che, la famiglia tutta, accettò di buon grado. Il nostro Salvo, raccolse i frutti dello studio volontario di qualche anno prima della lingua spagnola, al ritmo di 50 parole al giorno, lingua che gli riuscì di padroneggiare in solo 3 mesi.

A San Juan del Rio, nel cuore della terra messicana, Salvo fece decollare la nuova fabbrica che trattava prevalentemente velluto. Nel 2006, fa l’ultima scelta della sua vita lavorativa: lascia la vecchia azienda per mettersi in proprio. Attualmente è conosciuto in Messico come Asesor Tecnico, quello che, in Italia, chiameremmo libero professionista - Consulente di alta professionalità in campo chimico/tessile.

I diversi spostamenti, hanno fatto di Salvo Passucci un cittadino del mondo, la sua carriera, un orgoglio per la nostra città, il suo cuore, invece, è rimasto un eterno innamorato della nostra terra, dove torna ogni anno, per incontrare: il fratello Antonio, gli zii, e gli amici, Umberto e Antonio Di Biase, persone con un senso altissimo della Famiglia e dell’Amicizia, quelle con le Maiuscole, che non conoscono tramonti né distanze geografiche e, che, nella reciprocità hanno tutti saputo mantenere viva per mezzo secolo.

Abbiamo chiesto a Salvo cosa mangia un italiano in Messico. Scopriamo con piacere che, non ha dovuto rinunciare a nulla o quasi, perché i cavatelli sa farli da sé, ma gli mancano: la scapece, la porchetta, il capocollo, la ventricina e il nostro mare.
Ci siamo un po’ meravigliati per il mare. Salvo, però, ha affermato con vigore che non cambierebbe la nostra spiaggia nemmeno con gli Eden più famosi della Costa messicana di cui ci mostra foto stupende.

Nel corso dell’intervista – in perfetto italiano – Salvo ha intercalato spesso e volentieri il discorso con espressioni in salvanese DOC e tanti...«mammamaaà».

Foto: Ines Montanaro

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