A proposito di pace (e di guerra)

La riflessione dell'assessore Artese sulla Marcia della Pace

Giovanni Artese
08/10/2014
Comunicati Stampa
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Trovandomi a svolgere un ruolo in amministrazione, preferisco di solito non intervenire in maniera personale sulle questioni di maggiore attualità cittadina; ma per il caso delle polemiche scaturite sul tema della pace e sulla Marcia della pace 2014 a San Salvo mi concedo un'eccezione in quanto trovo oggettivamente paradossali e contraddittorie non poche posizioni. Perché se non cerchiamo di ragionare rischiamo di fare davvero male a San Salvo, alla nostra comunità cittadina; che certo ha bisogno di confronto, di scelte adeguate e di azioni piuttosto che di polemiche laceranti.

Sul tema della pace sono scorsi fiumi di inchiostro tanto che sembrava tutto chiaro fino a qualche tempo fa: eppure non è così. Un'affermazione sempre valida in merito è quella di papa Paolo VI, che disse: «Se vuoi la pace prepara la giustizia». Gabriele Marchese, in un articolo-messaggio del 3.10.2014 ha invece scritto: «Se vuoi la pace prepara la pace», affermazione tautologica che non dice quale sia la via per arrivarci. In una società in cui la diseguaglianza di reddito è crescente, in cui si avverte la necessità di tutelare maggiormente i diritti dei cittadini anche a me pare che il perseguire la giustizia e la legalità sia davvero il cuore del problema, valori essenziali per costruire un mondo solidale, tollerante e pacifico.

La crisi economica in atto sta creando una tensione crescente e per alcuni aspetti ingestibile sul piano sociale persino nei paesi più evoluti dell'Europa. Razzismo e antisemitismo sono in grande ritorno sugli scenari politici e culturali. Neppure il mondo cattolico ne è esente. Fabrizio Ciurlia, nel criticare alcune decisioni dell'amministrazione comunale sansalvese (in relazione alla vicenda dei profughi eritrei e dei relativi commenti dei cittadini) ha scritto che «la pace è fatta di gesti non convenzionali» e che «è mancato il coraggio di parlare seriamente di pace». Si può comprendere il senso del suo discorso se restiamo in un ambito ecclesiale: perché per la Chiesa ogni guerra è una «inutile strage» e ogni mancato gesto di accoglienza un tradimento della stessa dottrina cristiana, che vuole assoluta disponibilità verso l'altro e che si porga l'altra guancia a chi ce ne schiaffeggia una.

Quando si parla di solidarietà, accoglienza e integrazione all'interno di una realtà come quella di San Salvo è chiaro tuttavia che vanno tenuti in conto anche i diritti, la sicurezza e la volontà stessa dei cittadini. Preoccuparsi della propria comunità e dei suoi bisogni (e della legalità degli atti), ancor più in un momento di crisi, è il primo compito di un sindaco e della propria amministrazione. Così come occuparsi delle esigenze della comunità nazionale è compito del governo dello Stato. Giustamente papa Francesco, uomo di grande coraggio, si è battuto a lungo contro un intervento militare in Siria, volto a deporre il dittatore Assad, responsabile di un'atroce guerra civile; e persino gli USA, di fronte alle incertezze di alcuni alleati europei hanno finito allora per cedere. Ma ora, dopo il rafforzamento e l'avanzata degli estremisti islamici in Siria e in Iraq, gli USA di Obama hanno deciso la guerra contro il califfato dell'Isis, raccogliendo il sostegno di una coalizione internazionale in cui ci sono anche gli alleati europei. L'Italia del governo Renzi è in guerra contro l'Isis, il PD e quasi tutti i partiti italiani sostengono gli aerei della coalizione che bombardano giorno e notte il 'nemico' nel territorio occupato.

Tornando alla marcia della pace del 4.10.2014, dunque che senso ha avuto dire: non partecipiamo? Personalmente non ho mai partecipato - senza pubblicizzarlo - alle nove marce della pace indette nel periodo del centrosinistra a San Salvo perché le ritenevo un fatto essenzialmente ideologico. E i risultati mi hanno dato ragione, in quanto in quei nove anni non si è creata nessuna cultura della pace a San Salvo, ma sono cresciuti degrado, insicurezza, difficoltà di integrazione e persino un poco di razzismo. La marcia della pace di Assisi, nei momenti più alti, è stata sempre preparata e accompagnata da un ampio dibattito sull'argomento, teso proprio a superare ogni diversità e controversia di ordine religioso o politico-culturale in nome di alcuni valori condivisi. A San Salvo questo non c'è mai stato. Dire perciò adesso «non partecipiamo alla marcia della pace» significa porre dei paletti, dei distinguo che poco hanno a che vedere con la cultura della pacificazione. E se Fabrizio Ciurlia e l'Azione Cattolica di San Nicola lo dicono con una motivazione - ripeto - tutta religiosa, e per questo rispettabile, SEL e altre parti della sinistra di San Salvo lo dicono con motivazioni politiche, di parte, talora anche rozze. Il Circolo di SEL, dopo aver troppo schematicamente esposto le proprie ragioni alla non-partecipazione, nel suo comunicato è arrivato a invitare militanti e cittadini a collegarsi con la contemporanea manifestazione di Roma contro l'austerity e per una nuova politica economica. Come dire: non perdiamo tempo a San Salvo! Andiamo a Roma dove si decidono i rapporti di forza sul piano politico!

Perciò saluto con compiacimento e condivisione la comparsa del bell'articolo di Nicola Centofanti (Marcia della pace. In casa), del 6 ottobre, sui nostri siti web, dove finalmente si sviluppa un discorso sensato sulla «pace che va accolta e vissuta ogni giorno», come «un bene che è coltivato prima con se stessi e poi con gli altri». È un bel passo in direzione della costruzione di una 'cultura della pace' anche a San Salvo.

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