La storia del ricco e del povero si ripete. È una storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi. È la storia di due uomini, di due realtà. Uno è ricco: ricco di cose, ma povero di essere; è un essere povero. L’altro è un povero: povero di cose, però ricco di dignità umana. Lazzaro ha solo briciole. Aspetta quelle briciole per riuscire a vivere.
Viene spontanea la domanda: Da che parte stiamo? Viviamo seduti al tavolo del ricco epulone, oppure facciamo compagnia al povero Lazzaro? Se ci siamo seduti al tavolo del ricco, è ora di alzarsi da questa tavola per stare dalla parte di chi vive di briciole. La storia continua. I due muoiono. Il ricco muore con debiti: debiti verso l’amore, verso il fratello, verso il povero. Il povero muore senza debiti: ha sofferto abbastanza. Gli altri gli devono amore. Dopo la morte si crea un altro abisso, “tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi” (Lc 16,27).
Chi sta nella terra dei poveri è nella terra di Dio. Chi vive nella terra degli insensibili, degli indifferenti, vive lontano da Dio. Chi mette le tende tra i poveri vive nel cuore di Dio. Con le scelte di ogni giorno costruiamo il futuro. Tra i due, a divergere radicalmente i destini, solo una porta; sono vicinissimi eppure distanti. La seconda parte del racconto apre a un punto di contatto: ma è la morte! La morte non è evitata né dal ricco, né da Lazzaro. Solo che per Lazzaro, la morte è un “essere portato”, mentre per il ricco è un “essere sepolto”.
Subito i cammini nuovamente divergono: Lazzaro è portato nel seno di Abramo, il ricco è sepolto e finisce negli inferi. Troviamo quindi il ricco che supplica gridando il padre Abramo di mandare Lazzaro a bagnargli la lingua (cfr Lc 16,24) per alleviare la sua arsura. Il ricco fa una richiesta commisurabile a quella che Lazzaro faceva in vita: come Lazzaro chiedeva di potersi nutrire con la mollica del pane con cui il ricco si puliva le mani dopo aver mangiato, così ora il ricco chiede una sola goccia d’acqua. In fondo una piccola, piccolissima cosa.
Apprendiamo anche che il ricco non è ateo. Sa pregare e rivolgersi verso il cielo, ma soprattutto veniamo a sapere che vede e conosce Lazzaro: ora gli presenta attenzione e vorrebbe legare la sua sorte alla propria! La replica di Abramo sembra dettata da una legge eterna e immutabile cui lui pure deve assoggettarsi. Il ricco non contesta l’indicazione di Abramo, ma riapre il dialogo con una nuova supplica a favore dei suoi cinque fratelli ancora viventi.
Notiamo che quest’uomo non solo è credente, ma è addirittura sensibile e preoccupato della sorte dei congiunti: la sua richiesta è lodevole, benché domandi un segno eccezionale (cfr Lc 16,27-28) che nuovamente coinvolge Lazzaro. Il ricco non riesce a darsi pace per i fratelli, ma non comprende l’importanza delle Scritture sante nella determinazione del proprio stile di vita (cfr Lc 16, 29-31), superiori anche al segno di una possibile risurrezione dai morti.
Anche se Dio resta libero di offrire dei segni straordinari, la normalità della salvezza passa attraverso l’offerta di un ascolto libero e responsabile della Scrittura. C’è una responsabilità del ricco per la determinazione della sua sorte ultraterrena, una volta appurati anche il suo afflato spirituale e la sua appassionata solidarietà.
Costui è un superficiale, è uno sbadato. Conosce la Scrittura, ma non la osserva. Non è un ricco cattivo ma stupido, che non sa agire con sollecitudine e al momento opportuno. Un grande richiamo alla nostra libertà! «Pascal acutamente ha osservato: “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo”. Ma dove agonizza Gesù in questo tempo?
La divisione del mondo in zone di benessere e zone di miseria è l’agonia di Gesù oggi. Il mondo infatti è composto di due stanze: in una stanza si spreca e nell’altra si crepa; in una si muore di abbondanza e nell’altra si muore di indigenza; in una si teme l’obesità e nell’altra si invoca la carità. Perché non apriamo una porta? Perché non formiamo una sola mensa? Perché non capiamo che i poveri sono la terapia dei ricchi? Perché? Perché? Perché siamo così ciechi?» (Angelo Comastri).