Sono all’ordine del giorno le indagini giudiziarie su diffusissimi casi di abuso del ‘cartellino’ da parte di taluni dipendenti pubblici. La cosa che stupisce, invece, è che, nonostante il clamore suscitato, tanti continuino a far finta di niente perché si sentono esonerati dal rispetto di norme precise e perfino della più elementare etica sociale.
Faccio solo un cenno, invece, alla denuncia fatta nell’aprile scorso dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone: “La sanità è terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma”. L’ennesima, autorevole rivelazione della diffusa corruzione che pervade ogni settore dell’intera nostra società e che fa sentire tutti, chi più chi meno, in diritto di sostenere che non si tratta più soltanto di singoli episodi, ma di un vero e proprio sistema corrotto e corruttivo.
E allora, con una prospettiva propositiva, voglio lanciare un messaggio che si oppone a quella deriva qualunquistica e quasi autodistruttiva che finisce inevitabilmente (fatalmente?) per cloroformizzare l’italiano medio dopo la rassegnata lettura di saggi, statistiche, inchieste giornalistiche, evidenze di procedimenti giudiziari riferiti alla palude dove vegeta la corruzione. Il vero problema, allora, è cercare di capire se la percezione che generalmente si ha dei reati di corruzione non tenda a ricondurre il fenomeno nell’ambito di un malcostume endemico, socialmente tollerato.
Una deriva riassumibile in una parola di uso comune, ma dal significato astratto: “SISTEMA”.
Io stesso penso che di un vero e proprio sistema possa trattarsi. Un sistema che si regge su un complesso di comportamenti disciplinati da un codice (mai scritto) di norme, ordinamenti, regolamenti attuativi, formule, teoremi, corollari...
Il fatto è che, secondo me, nell’immaginario collettivo la parola SISTEMA si sposa automaticamente con il concetto astratto di ‘estraneità’; SISTEMA come Entità estranea e perciò tendenzialmente contrapposta, ostile e perciò stesso conflittuale... alla quale nessuno sente di appartenere. La stessa cosa che, per i più, succede quando si parla di STATO, altro termine percepito come astratto, e perciò stesso estraneo al singolo. Credo che siano davvero pochi quelli che tendono a includersi e riconoscersi nello STATO, perché tutti gli altri nello STATO vedono soprattutto l’Entità che impone le tasse, ma che non sa far funzionare il suo apparato, dai treni alla scuola, dalla raccolta dei rifiuti agli acquedotti… alla Sanità che spreca risorse, sia che a giocare sia la Destra che la Sinistra. Si finisce così per esprimere una diffusa critica allo STATO e la sua conseguente condanna per spese e sprechi, senza che in materia esistano vere divisione fra i diversi fronti politici.
Tutti uniti, allora, nella condanna, ma solo fin quando una qualche spesa da eliminare non riguardi il proprio ‘particulare’. Perché allora il discorso cambia: attualizza e valorizza la lezione di Francesco Guicciardini. Finisce così che, in un vero e proprio tripudio di particolarismi, ognuno fraintende l’imperativo con cui sono scritte le leggi per riconiugarlo, addomesticato, in un più malleabile condizionale personalizzato, cucito su misura per sé, del tipo: ‘non sarebbe consentito’, ‘si potrebbe’, ‘sarebbe vietato’, ‘si dovrebbe’ …
Un SISTEMA, perciò, che sarebbe da contrastare con forza, anzi da abolire. Sembreremmo tutti d’accordo, ma solo se e quando riguarda gli altri: i politici corrotti, per esempio, o i magistrati, o i giornalisti… la “CASTA”, insomma. Bisogna perciò considerare che così si finisce per ammiccare a una scappatoia troppe volte imboccata dai più: vero terreno di coltura per l’assenza di senso civico. Un’assenza che influenza e determina certi nostri comportamenti mentre il senso civico è (dovrebbe essere) il vero collante di una società veramente democratica. Secondo me è allora necessario far passare il concetto che il ‘SISTEMA’ siamo anche noi, comprende ciascuno di noi e noi per primi, anche se siamo soltanto comparse anonime in quel kolossal che di volta in volta viene messo in scena dai potenti di turno.
Mi pare necessario allora sostenere che, senza il nostro individuale contributo, anche, il grande scempio non si compirebbe o sarebbe contenuto in dimensioni più governabili,vorrei provocatoriamente dire fisiologiche.
A ben vedere si tratta di un concetto semplice, che deve però essere ribadito continuamente, enfatizzato ed esemplificato con i termini più comprensibili per tutti... in modo che, una volta assimilato, il concetto si manifesti in atteggiamenti quotidiani, concreti, automatici, risolutivi.
Mi rendo conto che posso sembrare banale o semplicistico, ma è proprio dall’ordinaria quotidianità e dal rispetto delle regole più elementari che bisogna partire: dalla cacchetta del nostro cane che non dovremo più dimenticare sul marciapiede; dal volantino trovato sotto il tergicristallo che non dovremo più buttare per terra; dal rispetto di un divieto anche quando il vigile non c’è; dall’applicazione delle sanzioni previste anche quando riguardano l’amico o il parente; dalla segnalazione di un sopruso o di un’irregolarità all’Autorità competente; dal non richiedere un occhio di riguardo...
In questo modo, forse, ci si potrà svincolare dall’ossessione di prendersi cura solo del proprio orticello e abituarsi così a pensare al plurale, consapevoli che il plurale comprende noi stessi perché avremo capito che il famoso ‘bene comune’ riguarda anche noi, pur se in prospettiva futura e mediata. E sono certo che in quest’ottica risulterebbe facile accettare (e forse condividere) anche decisioni immediatamente penalizzanti assunte in vista di vantaggi futuri. Penso, giusto per fare un lampante esempio sansalvese, alla diffusa ostilità verso la creazione di ‘zone a traffico limitato’, che invece sono sempre più indispensabili… anche perché non è contemplato da nessuna norma il diritto soggettivo ad arrivare in auto fino davanti a un determinato negozio; esiste, invece, il diritto soggettivo e collettivo a vivere in un ambiente più sano e meno inquinato (da gas e corruzione).
Una riflessione su altre due parole: INDIGNAZIONE, MEMORIA. Fanno sicuramente bene a tutti i libri che (per esempio “IMPUNITI”, “LA CASTA”, “LA DERIVA” anche se ormai datati) che, scuotendo le coscienze, provocano una giusta indignazione. Se però l’indignazione cade su coscienze addormentate e convinte che il SISTEMA è indistruttibile, il rischio di un loro flop è alto e può addirittura innescare un effetto boomerang. Potrebbe perciò essere utile enfatizzare i punti deboli del concetto di SISTEMA per scuotere le coscienze e caricarle di positività grazie al ricorso a una MEMORIA sveglia e vigile durante tutto un mandato elettorale. Certamente non è esercizio facile portare memoria per anni dei fatti e misfatti del politico di turno. Può essere davvero un tempo troppo lungo fino alla prossima votazione... e la pubblica indignazione nel frattempo sarà stata curata con i balsami che un navigato politico avrà distribuito all’elettorato di riferimento.
Per concludere: la memoria bisogna tenerla in servizio permanente effettivo, attraverso l’esercizio quotidiano del senso civico, vigile sul reciproco rispetto delle regole e senza tollerare irregolarità di sorta... indignandosi, per esempio, per ogni scontrino fiscale non emesso, per ogni infrazione non rilevata, denunciando comportamenti omissivi... meglio se con il ricorso all’amplificatore degli organi d’informazione.
Certo che vivere così costa fatica e può comportare qualche dispiacere, qualche antipatia e forse qualche inimicizia. Ma voglio pensare positivo e in grande. Perché se si pensa in grande, anche un risultato parziale avrà una sua buona visibilità. Quale potrebbe essere, invece, il risultato parziale di un pensiero nato già piccolo? E allora, per una volta, guardiamo all’obiettivo (se non proprio al risultato) piuttosto che impuntarci sul costo di un progetto, di un’idea, di un impegno.