Bufale, titoloni acchiappaclick e gara di like. Tutto ciò che dovremmo sapere

L'Oxford Dictionary, che individua una parola per descrive l'anno appena trascorso, ha pensato al lemma post-verità

Samantha Ciancaglini
12/01/2017
Attualità
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Quanti di voi nel 2016 hanno letto che il governo diminuisce la magnitudo di un terremoto, ad arte, per non pagare i danni ai cittadini? Io credo tutti. Ed è una gran bufala, come molte di quelle che abbiamo letto quest’anno.

E’ l’Oxford Dicotionary a definire come parola dell’anno “post-verità” che riassume al meglio la propensione a falsificare o a contestare la verità. Le bufale sono create per rafforzare dei pregiudizi, per mettere altra carne sul fuoco, non più per informare il lettore.

Ogni anno l’Oxford Dictionary sceglie una parola, un lemma che possa simboleggiare l’anno trascorso, come Selfie nel 2013 o la faccina che ride nel 2015. Nel 2016 è la parola post-verità che descrive l’anno appena trascorso.

L’elenco di bufale dette potrebbe essere infinito, come Rocco Siffredi che ha avuto rapporti intimi con due ragazze in un bagno nella discoteca o l’idea che Barack Obama non fosse nato in America; o che il referendum sulle trivelle avrebbe tolto tutte le trivelle sul mare; e non parliamo dei vaccini, perché se ne dicono di cotte e di crude.

Queste e molte altre sono tutte non-verità, pubblicate con un titolo dal click facile, senza preoccuparsi di cosa si sta dicendo e di quanto potrebbe essere virale questa informazione, senza assicurarsi quale sia la fonte e approfondire meglio i fatti. Sembra una gara a chi la spara più grossa.

Diciamolo francamente: è sempre accaduto che i lettori si soffermassero spesso sui titoli e poco sull’articolo. Il problema attuale, con il web come cassa di risonanza,è che non ci limitiamo a leggere e commentare in famiglia, ma lo pubblichiamo con il resto del mondo.

E se vi sono delle smentite, queste non fanno tendenza come il titolone catastrofico, non diventando, quindi, virali come la bufala.

E proprio nell’anno appena trascorso che le bufale hanno mostrato la loro massima potenza: un mondo in cui l’opinione pubblica è deformata dalle bufale, un mondo che si muove su indizi falsi che rafforzano pregiudizi, un mondo che si indigna per le bufale, ma non per i fatti. Quelli veri.

L’esempio lampante è della tanto criticata campagna elettorale di Trump. Un texano di 40 anni su Twitter denuncia i manifestanti anti-Trump, fotografando un autbus e insinuando che questi fossero stati mandati dalla Clinton. Il texano in questione aveva appena 40 follower, ma in breve il tweet è stato rilanciato di 16mila volte. A nulla è servita la smentita dello stesso texano che, resosi conto che l’autobus in questione trasportava altre persone venute li per un convegno: la notizia, presa poi dai siti a favore di Trump, rimbalza in tutti i giornali e tv.

Ecco cosa voglio dire quando parlo di fare attenzione: bisogna andare a fondo alla questione e non cercare di far a gara tra i like o le visualizzazioni. Il problema è sempre più presente, e da poco si sta discutendo se creare una giuria popolare o fare una vera e propria riforma e creare tribunali appositi. Passare da chi la spara più grossa a chi non la spara per niente.

Il problema c’è e non si può far finta di niente, pubblicando ciò che si vuole, ma facendo attenzione: essere consapevoli che ogni tipo di pubblicazione ha il suo peso.

 

 

 

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