I racconti di Angiolina: Una sorprendente indimenticabile passeggiata nell’immenso podere di don Vittoriano Pracilio

Angiolina Balduzzi
27/03/2017
Varie
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Le domeniche, appena il sole lo permette, rimandano immediatamente al lungo mare, ai centri commerciali alla storica Histonium o a gite organizzate.

E  francamente la “ripetitio non iuvat” specialmente se, per caso,  si scopre un mondo così vicino, così insolito così sorprendente che ci catapulta in spazi infiniti di una polivalente vegetazione che si sprigiona da una varietà cosmica prettamente nostrana, capace di raccontarci senza parole, fatti, persone, luoghi, cose, e viaggi millenari della nostra terra d’Abruzzo, con il sorriso luminoso notturno di paesi circondari, come Petacciato, Mafalda, Lentella, Palmoli ed il rumore scrosciante del fiume Trigno schiacciato “glottologicamente” dal termine” Trignina”, che oltre a significare la“strada di apertura”, pone termine all’antica chiusura di vite umane nate, cresciute e finite nel vicino cimitero, senza conoscere altre abitudini ed  altre sconvolgenti verità.

Ed è proprio lungo la Trignina nelle vicinanze di Lentella che si gira per intraprendere un percorso che dà inizio ad un viaggio che ci distacca completamente dalla normalità quotidiana e ci immerge in un variegato spazio di 24 ettari, di cui un oliveto di 6000 piante in fila per 60 e 80 unità su prati verdi  e senza le zolle arate di una volta: Il Bosco degli Ulivi.

Canneti qua e là con i pennacchi , aspettano il cestaio che ne crea contenitori guarniti di “ceppi”  pronti non solo a diventare scope,   ma col nome arcaico di saggina,   a scacciare le streghe  malefiche che oggi hanno altro significato.

Su un fuori strada si  percorrono  comode  vie , realizzate a posteriori  che rendono visibile, a mò di una nostrana gita il campo di grano di Cappelli,  dal nome dell’ononimo senatore.

I boschi rimasti intatti e capaci di raccontare le fiabe abruzzesi e gli incontri che le grandi querce secolari parlano  ai nostri studiosi antropologi con immaginaria visione.

Si può camminare, senza stancarsi, su viottoli dove piacevolmente ci si sbizzarrisce a cogliere rari fiorellini blu, che gli attempati, come me, ricordano col nome di “fiori della serpe “.

Il  lunedì di Pasqua nell’attuale “Bosco degli ulivi”, una volta si camminava con difficoltà,  ci si doveva arrampicare e difficilmente, tra le “coste” e i cespugli ,si trovava uno spazio per apparecchiare il  “mandilo” di tessuto bianco su cui posare le saporite vivande rituali preparate, dal giorno prima e pupi cavalli e castelli pasquali impreziositi di uova lesse e di glassa bianca puntecchiata di colorati “sim sam”.

Da Lentella si scorgeva il bosco intricato,  poco accessibile e terrorizzante, specialmente quando i briganti vi si rifugiavano senza temere visite.

Claudio Pracilio, meritatamente,  può  essere titolato di “don” e del suo primo nome anagrafico Vittoriano ; infatti il “ don” si attribuiva al prete e a chi si distingueva per “ricchezza”, quando  la ricchezza non significava “conto in banca” ma possedimenti terrieri, mai spartiti, nè venduti, ma trasmessi esclusivamente al primogenito, secondo il maggiorasco, con lo stesso titolo “don”, come si legge su qualche antico testamento.

Alla incantevole, variegata e pluricromata flora si aggiunge un sonoro ed  orchestrale mondo ornitologico, il cui cinguettio stupisce  l’orecchio ed intenerisce il cuore.

L’upupa , che quasi  in estinzione spesso la si vede sola e rara, nel bosco degli ulivi é  in compagnia di tante  amiche, che gareggiano per le loro sontuose e artistiche piume.

Una fontana,  tipicamente tratturale ci ricorda che il posto di cui parliamo faceva parte di quel tragitto transumantico, dove a settembre i pastori riprendevano la direzione verso lo stesso mare ,che ,oggi, dal podere di Pracilo si può scorgere con tutti i paesi che ad esso si affacciano e che una volta aspettavano i pastori nello spazio antistante il santuario di San Cosimo e Damiano, protettore di Lentella, paese in cui nacquero e vissero i signori-padroni della storica famiglia Carile a cui apparteneva l’ odierno podere, di don Filippo Carile che ha sempre stimato ed apprezzato Claudio preferendolo così agli altri compratori.

Quando, durante le notti stellate don Filippo, dopo aver osservato i lavori dei suoi uomini “socci” che a vita restavano in quelle terre, sognava un futuro,  non certo avrebbe mai pensato che non un suo discendente famigliare, ma un giovane sansalvese diplomato geometra ma collaudato agricoltore per passione acquisita dai suoi genitori, avrebbe esaudito il suo sogno; quello di non smembrare la sua grande proprietà diventata, tra l’altro,  fattoria didattica regionale, e agriturismo internazionale.

Claudio assecondando, inconsciamente, l’avanguardistica visione dell’antico proprietario che lo stimava, realizzò le sue vedute, continuando a produrre l’olio extravergine delle stesse olive, ma di maggior ed emancipata qualità biologica ed esportata anche all’estero.

La gastronomia  destinata agli ospiti è rimasta tale e quale e i fagioli e i ceci vengono cucinati sulla brace del focolare nelle tipiche pignate di terracotta.

Come si usava fare durante la trebbiatura,  gli gnocconi col ragu’ di carne sono contenuti nelle rinomate tielle di ferro smaltato bianco.

Con la farina del grano Cappelli si impastano pizze e squadrate sagne col pomodoro di un profumatissimo di basilico.

Unico nel suo genere ma incredibile da immaginare ,il bosco degli ulivi , il cui nome ridimensiona la ricca tipologia, “plus dotata” di quel ben di Dio che dà agli uomini tutto ciò che serve per vivere di vere emozioni nella natura che Rousseau  riteneva “depositaria di tutte le qualità positive e buone” e terapeutiche.

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