Il nostro Dio è oltre i nostri modi di pensare, come ci ha fatto constatare l’episodio della samaritana; un Dio che vede e prende a cuore le nostre difficoltà, come nella vicenda del cieco nato; un Dio capace addirittura di vincere la morte, come nella risurrezione di Lazzaro. Ma se Dio è più forte perfino della morte, perché non ci risparmia questa esperienza dolorosa e tutte le altre sofferenze umane?
È la domanda, dolorosa e inquietante. Gesù era amico di Lazzaro: era di casa, da lui e dalle sue sorelle; eppure l’ha lasciato morire e ha aspettato che fosse morto e sepolto, prima di decidersi ad andare da lui. La domanda ritorna nei sussurri a mezza voce tra la folla: “Lui, che ha potuto dare la vista a un cieco nato, non poteva evitare che l’amico morisse?” (Gv 11,37).
E ritorna nel sommesso rimprovero delle sorelle di Lazzaro a Gesù: “Se tu fossi stato qui” (Gv 11,21). È, soprattutto la domanda che attraversa la nostra esperienza umana, ogni volta che la morte ci tocca da vicino e ci strappa all’improvviso persone che sono parte della nostra stessa vita: “Se tu fossi stato qui” (Gv 11,21); “Ci sei veramente?”; “È proprio vero che ci ami?”.
Inutilmente cercheremmo, in questa pagina di Vangelo, una risposta precisa ed esauriente a questa domanda. Anzi, Gesù stesso lo vediamo oppresso da un’angoscia simile alla nostra, al punto da turbarsi profondamente e piangere (cfr Gv 11,35), come noi.
Quel pianto che non riesci a trattenere, come una ribellione che ti sale dal cuore quando, singhiozzando, ti chiedi: “Perché?”. Ma Dio è più grande della nostra mente e del nostro cuore, più grande anche dei nostri stessi desideri. Gesù, consapevolmente e quasi crudelmente, interroga Marta sulla sua fede, mentre è implorato e insieme accusato di aver trascurato gli amici: “Se tu fossi stato qui!” (Gv 11,21).
Allora Gesù ricorda a Marta che Lazzaro non è morto per sempre. Marta, però, non si arrende, non si accontenta della risurrezione finale: vuole indietro suo fratello subito, perché Gesù può. A questo punto arriva la domanda. “Credi tu?” (Gv 11,26). E Marta crede, senza sapere bene che cosa sarebbe accaduto. E Gesù si commuove, non solo per il dolore dei suoi amici, ma anche per questa fede.
Questa commozione ci dà una speranza travolgente, perché sappiamo che anche il nostro peccato, la nostra morte è accolta da questa misericordia. Misericordia capace di salvare da una condizione di morte, che è profezia di un altro sepolcro, di un’altra morte, di un’altra pietra che dovrà essere rimossa: quella del Santo Sepolcro.
Gesù si fa accompagnare alla tomba di Lazzaro, e chiede di aprire quel luogo di morte, già sigillato. Marta, di fronte a quella domanda, anziché agire fiduciosa, confermando quella fede che Gesù le aveva chiesto di dichiarare, appena poco prima, dice invece: “È lì da quattro giorni!” (Gv 11,39). Marta è come tutti noi!
Affermiamo la fede a parole ma davanti agli eventi tragici e addoloranti, non riusciamo a capire che la potenza di Cristo può salvare tutto, anche ciò che sembra irreparabilmente perduto. Gesù, però, dimostra ancora di più il suo amore, infatti, richiama Lazzaro alla vita nonostante la fede vacillante, incostante e incoerente di Marta che prima dice “Credo in te” ma poi, non crede che “a Dio tutto è possibile” (Mt 19,26).
Anche per noi la presenza di Gesù è potenza di salvezza, nonostante la nostra misera fede. Quanti di noi avrebbero, invece, detto a Marta: “Solo pochi minuti fa hai detto che credevi, e adesso già non più? Non meriti il mio amore, non è vero che credi!”.
Ma, per grazia divina, l’abbraccio misericordioso di Gesù è sempre più grande della nostra grettezza e del nostro cuore piccolo. Bisogna credere: “Se credi, vedrai la gloria di Dio” (Gv 11,40). Che non è questione di testa, in primo luogo e soltanto, ma di tutto noi stessi: lasciarsi condurre da Gesù sapendo di seguire chi ci ha preceduto e che saprà portarci ben oltre quanto noi possiamo immaginare. Di Lui possiamo veramente fidarci più ancora che per aver dato la vista a un cieco o la vita a un morto, per non aver chiuso gli occhi sulla nostra condizione umana e, soffrendo e morendo, l’ha presa su di sé, fino in fondo. Egli ci ama davvero. Ed è quanto ci basta sapere.