Notte di Resurrezione

Don Michele Carlucci
15/04/2017
Religione
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L’angelo con due verbi si rivolge alle donne. Il primo è “non abbiate paura” (Mt 28,5). Dio ci libera dalla paura. Nella notte del mondo, dove Dio sembra morto e di troppo, si sente: “Non abbiate paura”. Dio si fa presenza scomoda e silenziosa e per i credenti, che spesso lo cercano in un sepolcro vuoto, e per i non credenti, che pensano non valga la pena di cercarlo.

La risurrezione offre inizi per riprendere a cercare Chi credevamo morto e finito sotto i colpi del niente e del vuoto. Non dobbiamo avere paura dell’indifferenza, dell’apatia, dello scoraggiamento, della fragile evidenza e della facile vittoria del male sul bene. Per paura molti credono e altrettanti nò. Il Vivente chiede di sostituire a una fede fondata sulla paura quella fondata sull’amore.

E con lo steso amore sfida la non credenza di chi considera Dio come un concorrente della propria libertà. Il Vivente usa il linguaggio del cuore. “Non abbiate paura”. Come a dire “non avere paura delle tue debolezze”, o “di quello che non capisci”. Non avere paura del tuo peccato, perché io sono più grande del tuo errore. Non preoccuparti di quelli che seminano la morte perché “Io sono la risurrezione e la vita!” (Gv 11,25). Il Vivente, dunque, chiede un atto di fede. Il secondo verbo è “andate” (Mt 28,7). Il Vivente mette le ali ai piedi. Riaccende le passioni spente dai venti di morte e di sterile assuefazione: il progetto di Dio riprende fiato anche tra stoppini dalla fiamma smorta.

La risurrezione, perciò, chiede a ogni cristiano e a ogni comunità di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG,20). “Andate”. Un verbo che fa della comunità il soggetto dell’annuncio. È un verbo di movimento e indica responsabilità, impegno e cura, ma anche passione e creatività. È il verbo di Abramo che lascia la sua terra. È il verbo dell’Esodo che permette agli ebrei di abbandonare la schiavitù. È il verbo della libertà, propria di chi non si attacca ai luoghi già abitati, ma si fa compagno di viaggio per fare di ogni uomo luogo in cui Dio si accampa e si fa vicino, per fare di ogni uomo il suo tempio santo. “Andare” non è un verbo per uomini che vogliono essere soltanto spettatori, ma per credenti che vogliono mettere in gioco la propria vita.

Dopo aver liberato dalla paura di un fantasma, il Risorto libera dalla paura della stabilità. Non è, però, un andare a vuoto, senza una direzione o senza una meta, ma un andare profetico, carico di futuro nuovo e di speranza, ispirato alla logica del dono e dell’amore. Il Vivente, poi, aggiunge di “annunciare” (Mt 28,10). Non si tratta di andare a dichiarare la verità di qualcosa, ma quella fatta Persona. Non una verità fredda, ma quella calda che, ha il potere di far ardere il cuore com’è capitato ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,32).

Che non rende tiepidi, ma che dona il coraggio della parresia. Non si tratta di spiegare un dogma, ma di raccontare, mostrare la bellezza dell’incontro che ti ha cambiato la vita. Il Vivente non chiede di parlare “di Dio”, oppure “su Dio”, ma di lasciar parlare Dio attraverso il contagio della testimonianza. Un annuncio che si fa testimonianza di una verità che nella fragilità della croce ha parlato la grammatica dell’amore e riesce a suscitare un senso di sconosciuto stupore e meraviglia per quanto compiuto dal Signore. Fa meraviglia che tale primo annuncio sia stato consegnato alle donne? Dio sorprende continuamente! Le donne ricevono la consegna di un appuntamento. Dove?

Non a Gerusalemme ma in Galilea. La missione del Vivente “non parte da Gerusalemme…, ma parte da una zona periferica, una zona disprezzata dai giudei osservanti, a motivo della presenza in quella regione di diverse popolazioni straniere” (Papa Francesco). La Galilea, “è una terra di frontiera, … dove si incontrano persone diverse per razza, cultura e religione.

La Galilea diventa così il luogo simbolico per l’apertura del Vangelo a tutti i popoli. Da questo punto di vista, la Galilea assomiglia al mondo di oggi” (Papa Francesco). Sì, la risurrezione fa parte delle geografie dimenticate. La logica della risurrezione è inclusiva, abbraccia gli scarti della storia per farne lievito di una nuova umanità: le donne, che fino allora erano escluse, diventano prime testimoni e annunciatrici della risurrezione, e la Galilea, luogo delle Genti, diventa il grembo fecondo del popolo nuovo. La risurrezione apre alla missione e abbraccia le geografie dimenticate, le periferie ignorate.

Sceglie le persone scartate dalla logica umana che a volte usa anche la religione come forma di potere. Il Vivente costituisce le donne prime testimoni e annunciatrici della Pasqua. Le donne evangelizzano i discepoli. Erano andate al sepolcro per ungere un cadavere e invece ricevono l’unzione della confortante certezza del Risorto.

In questo mondo frammentato, dominato da una ragione che, dopo avere preteso di splendere di luce propria, ora è diventata debole, lasciando al buio e orfani di luce vera, i cristiani sono chiamati a far conoscere il Buon Pastore che conduce a pascoli erbosi e che, pur tra “valli oscure” (Sal 22), sa infondere pienezza di senso, alla vita. Così la luce della Pasqua splenderà sul volto e nel cuore di ogni uomo in cerca di sé e di quel Dio che non l’ha mai dimenticato.
 

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