"La santità è un cammino a cui tutti siamo chiamati"

Commento al vangelo

Andrea Manzone
01/11/2017
Attualità
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L’odierna solennità di Tutti i Santi è stata letteralmente fagocitata dalla commemorazione dei fedeli defunti celebrata il giorno successivo. Identificando morti e santi, ha ragione quel bambino che, alla domanda se volesse diventare santo oppose un sincero e sicuro: “No! – E perché? – Perché i santi sono tutti morti!”.

Un altro rischio è di considerare i santi come agenti di servizio per casi disperati: gli ultimi a cui potersi rivolgere in caso di necessità. Lì, nelle loro nicchie, lontani, irraggiungibili quasi, con un privilegiato filo diretto aperto con Dio, lontanissimo.

Come siamo arrivati a queste storture e deviazioni che ci hanno fatto desistere dall’unico desiderio del cristiano, ossia quello di diventare santo? Ripartiamo allora dalle Scritture sacre, e in particolare dalla liturgia odierna. Se nell’Antico Testamento solo Dio è il Santo per eccellenza, ossia separato, diverso dal mondo (“il tre volte Santo”), negli stessi testi si trova un comandamento che è il centro della legge: “Siate santi, come io, il Signore vostro Dio sono santo” (Lv 19).

La santità di Dio non è sua proprietà esclusiva, ma si partecipa all’uomo. È con Gesù che le porte della santità, ossia della piena partecipazione alla vita di Dio, sono aperte. Il battesimo è il dono oggettivo della santità, significato in particolare dalla veste bianca di cui siamo rivestiti, segno reale della nuova dignità di figli di Dio (1° lettura).

La santità dunque più che in uno stato consiste in un cammino, in una vocazione a cui tutti, indistintamente, preti, papa, suore, laici e consacrati sono chiamati. Non esiste uno stato più santo degli altri ma tutti vi sono incamminati in forza del battesimo; la 2° lettura di oggi lo dice esplicitamente: “Noi saremo simili a Lui”.

Cristiano! Non sei chiamato a essere un mediocre uomo religioso esecutore di comandamenti, ma a diventare come Dio, perché Dio si è fatto come te. “Si, ma come funziona?” – mi si chiederà. Ci viene in aiuto il vangelo odierno, il quale non va interpretato come un’altra, inutile, serie di precetti da seguire, peraltro molto strani (che significa chiamare beato chi piange, chi è povero, chi soffre, ecc?).

Scorriamo le beatitudini, e vedremo in filigrana il ritratto che Gesù fa di se stesso. Lui, l’unico povero, affamato di giustizia, puro, misericordioso, operatore di pace. Le promesse che Gesù fa (la consolazione, la misericordia, il vedere Dio..) sono i doni che nel battesimo tutti noi abbiamo ricevuto. Che manca allora? Iniziare quel dolce e non facile percorso che, sostenuti dalla grazia, ci conduce all’imitazione e all’assimilazione del Figlio di Dio, per cui, come dice san Giovanni, già ora siamo chiamati figli di Dio. Possano i cristiani in questo giorno di grande festa, dire con L. Bloy che l’unica tristezza per noi è quella di non essere santi.

 

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