Scopriamo l'Abruzzo: I mulini ad acqua della Valle del Treste

05/12/2020
Attualità
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Se è vero, come afferma il Moroni, che “i fiumi sono sentieri che camminano”, possiamo risalire la Valle del Treste lungo un sentiero argenteo che riserva non poche sorprese.
Tra la fitta vegetazione ripariale si nasconde la memoria di questa terra e della gente che l’ha abitata.
Quella che oggi ci appare come una valle un po’ selvaggia, la cui scarsa antropizzazione permette alla natura di esprimersi in tutte le sue forme, un tempo era una valle animata da molte attività produttive. Mentre sui pascoli alti la pastorizia rappresentava la prima fonte di sostentamento, nelle valli erano le attività agricole a permettere la sopravvivenza delle famiglie. Lungo il corso del fiume Treste, diversi mulini ad acqua permettevano ai contadini di macinare le granaglie raccolte e avere

così garantito il pane per un intero anno.Benché l’utilizzo dei mulini ad acqua abbia delle origini antichissime (i primi a parlarne furono Vitruvio e Strabone nel I secolo a.C.) ed abbiano rappresentato per secoli uno strumento con il quale il feudatario poteva esercitare il proprio potere sui sudditi, il periodo d’oro per i mulini ad acqua in Italia centro-meridionale fu l’Ottocento, quando vissero un’ultima sfolgorante stagione prima di cedere il passo alle nuove tecnologie dell’era industriale.
Due furono i fattori che determinarono il successo dei mulini ottocenteschi: l’eversione della feudalità e la soppressione della Regia Dogana della Mena delle Pecore di Foggia.
Nel 1806 Napoleone Bonaparte proclamò Re di Napoli il fratello Giuseppe, il quale sin da subito sottopose il Regno a cambiamenti tali che ne stravolsero la struttura economica sulla quale da molti secoli si sosteneva.
A differenza del resto della penisola, in Italia centro-meridionale sopravviveva ancora l’antico sistema feudale e il primo intervento di Re Giuseppe fu emanare una legge che abolisse i diritti feudali locali, riportando nell’orbita della proprietà demaniale moltissimi beni e terreni.
Contemporaneamente, con la soppressione della Dogana delle Pecore, crollò il poderoso sistema economico creato da Alfonso I d’Aragona nel 1447 e che per tre secoli e mezzo aveva sorretto un’economia fondata sulla pastorizia.
Questi cambiamenti rappresentarono un vero e proprio terremoto, che costrinse la popolazione a riorganizzarsi su un nuovo modello economico. Molte terre utilizzate precedentemente a pascolo, vennero messe a coltura e i mulini incrementarono lavoro e introiti.
Questa fortunata stagione subì un brusco arresto nel 1868 con la legge che imponeva una tassa sul macinato. Molti piccoli mulini subirono una flessione tale nella produzione, da essere costretti a chiudere per sempre.
Oggi, solo un attento osservatore può scorgere tra la vegetazione che cresce rigogliosa sulle sponde del fiume Treste, i resti di queste antiche costruzioni in pietra.
Dei cinque ruderi censiti, solo il Mulino Comunale di Liscia è stato di recente sottoposto ad un intervento di ristrutturazione che gli ha restituito la dignità che merita.

Fonte: valledeltreste.com

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