In una società che cambia bisogna avere il coraggio di aprirsi al nuovo

Daniele Leone
23/01/2011
Attualità
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Vorrei che tutti svolgessimo una serena riflessione. Partiamo dalle misure introdotte dalla Riforma Gelmini. Secondo un’ipotesi i tagli nelle scuole di ogni grado e ordine dovranno essere nei prossimi anni in qualche modo realizzati attraverso accorpamenti, ne deduciamo che fra qualche anno, numerosi piccoli comuni saranno sprovvisti di qualunque scuola. Al riguardo vorrei richiamare l’attenzione dei cittadini di Celenza sul Trigno, in particolare di coloro che sono e che saranno direttamente interessati al problema “scuola”, sul fatto che mai come in questo momento bisogna essere uniti e trovare delle soluzioni ad un problema importante che esiste realmente anche se qualcuno si rifiuta di vederlo. Nel nostro territorio vi è una realtà fatta di tanti piccoli comuni, e questo non è un problema o, come qualcuno sostiene un costo. Io credo e lo sottolineo, che questi luoghi sono una risorsa per tutta la nostra regione, con la loro cultura, la loro storia, la loro identità e anche il loro valore. E’ vero che vivere in questi piccoli comuni costa di più, perché si pagano le stesse tasse che pagano tutti gli altri cittadini che vivono altrove, pur non ricevendo in cambio gli stessi servizi: spesso quei pochi servizi offerti sono molto inferiori e spesso anche più costosi, consideriamo semplicemente il costo per il riscaldamento. Vivere quindi in queste aree è difficile e le famiglie che scelgono di restare sono degne di lode, ma questo non basta: le amministrazioni devono impegnarsi seriamente soprattutto per garantire quanti più servizi possibili alle famiglie. Purtroppo spesso vi è la necessità di rivedere delle situazioni che se molti anni fa potevano andare bene, oggi devono essere modificate per rispondere in modo più adeguato ai bisogni reali dei cittadini. Ma spesso i cambiamenti sono motivo di polemica. Litigare non è certo una soluzione. Il dialogo, il rispetto delle diverse posizioni è vera vita democratica e partecipazione di una comunità intera. Le calunnie, l’arroganza, la superbia, il seminare zizzania non è costruttivo, ma qualcuno se ne serve per distogliere l’attenzione della gente da quello che è il vero problema in questione. Bisogna capire che le trasformazioni in atto che colpiscono questi piccoli comuni rischiano seriamente di far sparire per sempre servizi di primaria necessità. In queste comunità come altrove, assume un rilievo importantissimo l’offerta di servizi per l’infanzia, per i giovani e per le famiglie in generale. Purtroppo, però, la domanda per questo tipo di servizi alla persona non raggiunge la soglia minima necessaria all’attivazione degli stessi e i cittadini si trovano ad affrontare un carico contributivo eccessivo. Inoltre, l’attivazione di servizi “sotto soglia”, specialmente quando si tratta di quelli destinati al consumo collettivo, non consente di rispondere in modo adeguato ai parametri standard e di qualità previsti. Eppure questi problemi con una politica lungimirante potevano essere contrastati già a partire dall’ultimo trentennio, dove il progressivo spopolamento dei centri montani minori, non è stato contrastato da interventi adeguati in campo sociale o dei servizi che potessero contribuire ad un maggiore radicamento e presidio dei territori svantaggiati. Oggi le amministrazioni devono fare i conti con le poche risorse e strumenti a disposizione visto che negli anni hanno dovuto subire una progressiva riduzione di risorse e trasferimenti erariali. Tutto questo avrà nel tempo inevitabili ricadute sull’offerta dei servizi e questo rischio diviene più verosimile proprio in quei comuni caratterizzati da minori entrate. I servizi quali le strutture educative per l’infanzia diventano per una serie di motivazioni inevitabilmente più costosi nei comuni a più bassa densità di residenti. Ricordiamo che si tratta di un tipo di servizio che risponde all’ esigenze, di inserire i bambini in un contesto educativo fin dalla primissima età. La scuola dell’infanzia rientra in quella particolare fascia di servizi in cui l’offerta cresce al crescere del numero dell’utenza, per cui, il costante decremento numerico delle nascite che si registra in questi paesi, comporta che nei prossimi anni per questo tipo di servizio la domanda sarà molto più bassa, tanto da non poter formare le classi. Ne consegue quindi l’impossibilità di mantenere attivo il servizio. Per affrontare la questione, l’unica via percorribile è quella di sedersi intorno ad un tavolo: amministratori, opposizione, associazioni, volontari, cittadini, chiesa, etc. affinché mettano in campo proposte valide per il futuro. Ma finche c’è chi, chissà per quale strano motivo, si rifiuta di vedere al di là del proprio naso e non fa che mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole lavorare seriamente e onestamente, il dialogo sarà impossibile. Il mio augurio e quello di essere smentito dai fatti. Il dibattito non deve ruotare solo sulle modalità di gestione dei servizi scolastici, bisogna focalizzare l’attenzione sul fatto che si corre seriamente e concretamente il rischio della chiusura di un servizio e ci troveremo fra qualche anno che i bambini dovranno essere trasferiti negli istituti dei paesi vicini. Chi si assumerà le responsabilità se ciò dovesse verificarsi?

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