E’ di San Salvo l’unica iscritta alla sezione ADMO (Associazione donatori di midollo osseo) del Vastese ad aver donato il midollo osseo: si tratta di Anna Santoro, giovane donna di 36 anni, moglie e madre di tre bambini. Per questo suo fondamentale gesto, che ha permesso di salvare una vita, domani alle 10 nella sala consiliare del comune di San Salvo, le sarà consegnato un riconoscimento da parte del presidente ADMO di Vasto Antonietta Cirulli, dal sindaco Tiziana Magnacca, dal presidente del consiglio comunale Eugenio Spadano e dal direttore del Centro trasfusionale di Vasto Pasquale Colamartino.
Per alcune malattie, come la leucemia o il linfoma, il trapianto di midollo osseo è l’unica soluzione possibile, come spiega Cirulli: «La probabilità di trovare un donatore geneticamente compatibile è di 1 su 4 fra consanguinei mentre sale vertiginosamente a 1 su 100.000 tra persone non imparentate». Per questo la speranza per il malato è legata all’esistenza di un maggior numero di persone disposte a donare il proprio midollo osseo. Spesso la mancanza di conoscenza e informazione sulla donazione di midollo crea preconcetti o timori immotivati. Quella di Anna diventa quindi anche una testimonianza importante per far capire che donandosi è possibile salvare una vita. La speranza è che il gesto di questa donna coraggiosa e altruista possa essere occasione di riflessione per molti, per tutti coloro che non hanno ancora scelto di iscriversi all’associazione di donatori. Per tutte le informazioni è possibile rivolgersi alla sezione ADMO di Vasto presso il Centro trasfusionale dell’Ospedale San Pio da Pietralcina. Intanto domani sarà il sindaco di San Salvo a dare il buon esempio diventando la ventiseiesima iscritta di San Salvo.
A capire l’importanza della donazione aiutano anche le parole di ringraziamento di un anonimo malato guarito proprio attraverso il midollo osseo di uno sconosciuto, ne riportiamo un estratto:
«Cara Donatrice, se questa mia ti arriva significa che il controllo è andato bene. Se questa mia ti arriva significa che in massima parte lo devo a te. A quella enorme, impressionante sacca che nove mesi fa recapitarono, alle cinque del pomeriggio, nella mia stanza d’isolamento. Una sacca con dentro la tua vita e la mia. Certo, io non cominciavo né finivo lì, né cominciavi o finivi lì tu. Ma attraverso quella sacca, da allora, io sono anche un po’ te e tu sei un po’ me. Una cosa come questa è troppo grande per le nostre povere mani, per le nostre povere menti, perché le nostre mani possano tenerla e le nostre menti comprenderla fino in fondo. Perciò io non saprò mai il tuo nome, tu non saprai mai il mio. Ed è giusto così. Ma è anche troppo grande, assolutamente troppo grande, perché io possa accampare una scusa, una scusa qualsiasi, per tacere. Ora, come dirti il mio grazie? Cara Donatrice, tu mi hai restituita ai fiori, alla poesia, a mio figlio, alla sabbia che cuoce sotto il sole, alla nebbia, alle scarpe per camminare, alle note, ai colori, alle stelle nel pozzo, alla legna nel camino, all’amore, alle strade, all’inchiostro, alle ombre del giorno e della notte, all’acqua salata, al desiderio, al Disegno celeste, alle crepe nei muri, ai grilli, alla marmellata di more…»