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Il sogno africano di Giulia

Giulia Milantoni racconta la sua esperienza in Uganda

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Tutti sin da piccoli abbiamo un sogno nel cassetto: c’è chi vuol diventare astronauta, chi esploratore, chi modella. Spesso però quei sogni li si lascia ammuffire per paura di non farcela. Il sogno di Giulia è uscito dal cassetto sfidando paure, critiche e convenzioni sociali, un sogno chiamato Africa.
Giulia Milantoni è una ragazza di San Salvo che all’età di 21 anni è partita come volontaria in Uganda. Dentro il suo cuore è sempre covata l’urgenza di aiutare il prossimo, l’indifeso e gli emarginati.
Intervista:

COME E’ INIZIATA LA TUA AVVENTURA?
Ho sempre avuto il mal d’Africa, anche prima di partire. Tramite Internet ho scoperto che un orfanotrofio in Uganda necessitava di una volontaria e ho colto la palla al balzo. Senza il supporto di associazioni e senza vaccini sono partita nel 2011. Sicuramente il mio è stato un atto azzardato che ha fatto preoccupare i miei famigliari, però sono stati molto comprensivi e hanno  rispettato la mia scelta. Ero consapevole dei rischi che potevo correre però qualsiasi cosa fosse accaduta sarei stata comunque felice perché stavo inseguendo il mio sogno.
Con la mia valigia rossa sono atterrata nel cuore verde dell’Africa, l’Uganda. Ho trascorso la prima settimana nell’ospedale di Kampala, la capitale, per assistere un’orfana colpita dalla malaria. Dopo una settimana la bambina è guarita e l’ho accompagnata all’orfanotrofio Childern Farm. La struttura, fondata da una volontaria,  è situata a 80 km dalla capitale, in mezzo alla foresta. L’orfanotrofio ospita circa 14 bambini dai 2 ai 14 anni ed è una fattoria vera e propria con animali e ortaggi utili all’autosostentamento. Vi lavorano una cuoca, un ragazzo che si occupa degli animali e una ragazza che gestisce i bambini. L’orfanotrofio non ha corrente elettrica e solo da due anni è stato installato un pozzo per l’acqua.
La mattina ci si svegliava alle sei e mezza per aiutare gli orfani a fare colazione e prepararli per la scuola. In seguito andavo al mercato e pulivo la struttura. Di sera aiutavo i bambini a fare i compiti a lume di candela, non essendoci l’elettricità.  Poi si giocava e ognuno pregava il suo Dio. Alcuni bambini erano cristiani, altri musulmani ma nonostante le differenze religiose non ci sono mai state discussioni: Dio è uguale per tutti e questo dovrebbe farci riflettere dopo i recenti fatti parigini.
La prima esperienza in Uganda è durata due mesi e mezzo. Ma il richiamo dell’Africa era troppo forte e vi sono tornata nel 2013. Durante la seconda esperienza non sono stata solo nell’orfanotrofio ma ovunque sentivo che c’era bisogno di aiuto: negli ospedali e soprattutto negli Slum:periferie nelle quali le persone vivono nella fognatura e nella povertà estrema.
Il ritorno alla civiltà è stato traumatico perché ero abituata a camminare scalza, mangiare per terra e molto altro.

QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA I BAMBINI ITALIANI E UGANDESI CHE TI HANNO COLPITA MAGGIORMENTE?
La differenza principale fra bambini italiani e ugandesi è l’autonomia. Già da piccolissimi percorrono a piedi da soli molti chilometri per andare a scuola, sia sotto il sole cocente sia sotto le piogge torrenziali, usando foglie di banano come ombrello. Non sono intossicati dalla realtà dei bambini occidentali e gioiscono delle piccole cose. Sono isolati dal resto del mondo e dalle nuove tecnologie però vivono in un oasi di pace per l’anima.

GRETA E VANESSA, LE RAGAZZE RAPITE IN SIRIA, SONO PARTITE VOLONTARIE COME TE E HANNO RICEVUTO MOLTISSIME CRITICHE AL LORO RIENTRO, TU COSA NE PENSI?
Greta e Vanessa sono partite come me a 21 anni, come me hanno deciso di prestare aiuto in un Paese afflitto dalla guerra (in Uganda c’era una guerra civile in corso) e come me sono state imprudenti però quello che ci ha spinte è l’amore per il prossimo, un impulso altruistico verso le persone bisognose. Non credo affatto alle dicerie che sono state costruite sulla loro storia e sul loro rapimento.


Giulia, Greta e Vanessa potete chiamarle incaute, imprudenti o folli però hanno avuto il coraggio che non hanno le persone che sulle loro comode poltrone, nelle loro calde case con le tavole piene di cibo, biasimano le stragi di Parigi, la fame nel Terzo Mondo, l’ebola in Sierra Leone e poi cambiano canale.

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