Erano i giorni in cui si usciva la domenica mattina per andare di corsa a celebrare messa. Don Cirillo dava 100 lire per ogni funzione. Eravamo in sei a fare i chierichetti. I funerali li aspettavamo con gioia, il compenso era di 500 lire e se andava bene ti faceva preparare l'incenso facendo roteare forte il turibolo per aria...
Alla fine di ogni funzione ci fermavano in piazza il pallone era d'ordinanza. C'era Aldo l'attaccante, scarpette da calcio regalate dallo zio della Germania sempre dietro, i tacchetti maceri dall'asfalto, ma sai che soddisfazione presentarsi in campo così!
La porta segnata dalla sedia della signora Lidia e dalla busta della spesa di Gianni che era lì di passaggio. Pronti per giocare.
Le partite allora non duravano 90 minuti, i genitori non erano sugli spalti a rimproverare, c'erano spintoni e ginocchi rovinati a grattar l'asfalto, ma nessuno ricordo abbia mai pianto.
I pomeriggi li passavo così in piazza a tirar palloni, o in bicicletta al campetto di Cioffi a chi si lanciava più veloce sulla rampa. L'avventura era andar sui cantieri, a cercare pezzi per costruire la nostra capanna, mattoni, laminati di eternit per il tetto e tutto era fatto...
Oggi i miei figli hanno molto. Un campetto in erba sintetica su cui giocare, fanno nuoto ed hanno la pista ciclabile per scorrazzare in bicicletta.
Ma la scorsa settimana rientrando da un compleanno con aria da combhattente abbattuto mi ha detto che finita la festa si eran messi a giocare a pallone, nelle stessa piazza che aveva già sentito le mie urla di bambina, ma che erano stati cacciati perché i vigili avevano paura che le mattonelle potessero rompersi. "Ci siamo spostati alla villa, ma anche li sono venuti e ci hanno detto che non potevamo giocare".
In quello stesso luogo oggi vedo auto parcheggiate, furgoni di grossa stazza fare carico e scarico, un gran movimento di mezzi ma nessuna voce di bambino che urla "goal!".