La Santa Liturgia oggi ci presenta l’episodio dell’adultera. È una situazione pretesto dell’ennesimo tentativo da parte di scribi e farisei di mettere in difficoltà Gesù: “Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo” (Gv 8,6).
Dietro il giudizio alla donna “sorpresa in flagrante adulterio” (Gv 8,4) si cela il tentativo di far condannare Gesù. Scribi e farisei vogliono mettere il Signore davanti alla scelta tra sconfessare, di fatto, la sua fama di maestro mite e misericordioso, condannando la donna, o andare contro la legge di Mosè, che prevedeva per il reato di adulterio la morte (cfr Lv 20,1i: Dt 22,22-24).
Se avesse affermato la necessità di seguire la legge di Mosè, avrebbe disobbedito anche alle disposizioni della legge romana, che avocava a sé ogni decisione sulla pena capitale, come si evince dal racconto del processo a Gesù (cfr Gv 18,31). In questo quadro di grande tensione il Maestro si china a scrivere per terra.
Ci sono nel mondo due categorie di persone, che coesistono anche in ciascuno di noi: quelle che guardano indietro, al passato, coltivando nostalgie, ricordi, rimorsi, sofferenze; e quelle che guardano in avanti, consacrando il loro dinamismo creativo alle possibilità sempre nuove che l’esistenza offre. I primi sono prigionieri del passato che non è più e che non sarà mai più, ed hanno sempre torto, perché la loro esperienza, anziché essere il trampolino di lancio delle loro attività, ne è la tomba.
I secondi hanno ragione, perché hanno fiducia nella vita e nel futuro. Il credente in Cristo deve appartenere a questa seconda categoria di persone. Nel Vangelo la donna adultera è liberata dal sua passato di peccatrice, perché Gesù l’apre ad un nuovo futuro, ad una nuova vita. È difficile che i cristiani si confessino di un peccato, anche se dai contorni poco precisabili: la cancellazione del futuro come forza della propria vita. Il nostro Dio, il Dio di Gesù Cristo, è l’Eterno, il Dio del futuro; il suo mistero si nasconde nel futuro di ogni uomo e del mondo intero, e si spalanca in un al di là, in un oltre, ancora ignota per noi. Gli scribi e i farisei portano a Gesù una donna scoperta in adulterio.
La legge data da Mosè ordina di lapidarla. Cosa ne pensa Gesù? Come ho già detto, è un tranello giuridico teso a Gesù per squalificarlo. Se Gesù dirà di perdonarla, violerà il diritto ebraico; se dirà di condannarla, violerà quello romano, oltre che fargli perdere la fama di uomo compassionevole e amico dei peccatori. Gesù non risponde subito, ma inizia uno dei suoi insegnamenti indiretti, che appaiono nel complesso di tutto l’episodio. La legge condanna l’adultera. Ma la legge è codificazione del passato.
Gli uomini non s’identificano mai con quello che hanno fatto, ma con quello che ancora possono fare. La legge la macchia come peccatrice. Ma Gesù non guarda il peccato con la misura della legge, bensì con quella della persona che lo commette. Gli accusatori tengono presente solo la legge mentre Gesù non la nomina neanche! Egli guarda solo quella creatura umiliata, che può riprendere in mano il suo futuro.
Le leggi umane stritolano il colpevole; sono scritte in tavole di bronzo. Gesù ha l’unica legge dell’amore, che è scritta sulla sabbia, dove basta il soffio leggero di un venticello a cancellarla, purché il soffio sia profumato di giustizia e di perdono. Gli urli e le pietre degli accusatori vogliono affermare alla donna l’enormità di ciò che ha fatto, identificandola sempre più col suo passato.
Gesù la apre alla coscienza del futuro, liberandola: “Va… verso il futuro e d’ora in poi non tornare più indietro, verso il tuo peccato”. Il futuro è lo spazio dove Dio ci aspetta nell’attesa del cambiamento. Coloro che non danno spazio a questo futuro di cambiamento rimangono attaccati a un perbenismo di facciata, a un’immagine di sé puntigliosamente curata con l’osservanza di norme esterne, senza curarsi di vizi privati e di ladronerie nascoste.
Se scoppia poi uno “scandalo”, la vergogna è così ripugnante, che neanche Gesù sembra sopportarla, tanto che si mette a guardare e a scrivere per terra, riservando poi alla fine quell’espressione: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8,7), che è come scoperchiare una fogna dal puzzo nauseante. Se ne vanno tutti.
Nel vuoto silenzio di quella piazza, s’incrociano due sguardi: quello della donna, che vede un uomo che la guarda in un modo così diverso da come la guardavano gli altri uomini; quello di Gesù, che vede la bellezza dove non appare e la fa emergere, che vede la bontà dove è nascosta e la fa scaturire, che svela alla sfiduciata le sue ricchezze che essa stessa non sa percepire. Se imitassimo lo sguardo di Gesù! Più che giudizi, condanne, lapidazioni, potremmo creare nel cuore delle persone sbandate l’inizio di un genuino cammino: “Va e non peccare più!” (Gv 8,11).