«La Sacra Scrittura non ci promette pace, sicurezza e tranquillità; anzi il vangelo non ci nasconde le tribolazioni, le angustie e gli scandali. Assicura però che “chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (Mt 10, 22)”» (sant’Agostino). Oltre ad essere la nostra gioia, il Vangelo deve essere la nostra inquietudine. Proprio il brano ascoltato è di quelli che ci spinge a cercare incoraggiamento nell’infinita misericordia di Dio, perché il peso della nostra indegnità può diventare intollerabile. Il ritornello “non può essere mio discepolo” (Lc 14,26.27,33) che si ripete, dopo ogni dichiarata esigenza evangelica, sconcerta.
E l’espressione che sembra essere più scandalosa é quella in cui si dice che per essere suoi discepoli è indispensabile amarLo più di quanto si ama il “padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita” (Lc 14,26). Gesù chiede che l’amore per Lui deve stare avanti a tutti gli altri amori. La scelta di Gesù deve essere al vertice di tutti i valori: è una scelta radicale e fondamentale.
Deve determinare tutte le altre scelte della vita. Non ce ne possono essere due di “amore” fondamentale: Gesù e la ricchezza (mammona iniquitatis), Gesù e il piacere, Gesù e la carriera, Gesù e se stessi. “Nessuno può servire due padroni” (Mt 6,24), due entità cioè che si contendono il primato e l’obbedienza. Così anche “rinunciare a tutto per Gesù” (cfr Lc 14,33) significa non anteporre niente a Lui. O si ha l’amore o non si ha. O si ama nella libertà o no. Non si tratta di una gerarchia, di affetti e valori, per i quali amare Gesù più del “padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita” (Lc 14,26). No, perché chi non ama Cristo di amore assoluto e immutabile, non ama nessuno.E’ schiavo di legami che soffocano lentamente: quanti fidanzati vivono spersonalizzati e pronti a tutto pur di non perdere il partner, per poi ritrovarsi vuoti, senza dignità, con il solo disprezzo per se stessi; quanti figli vivono l’incubo di dover dimostrare ai genitori di essere migliore del fratello o della sorella; quanti amici annullano tutto di se stessi per incastrarsi nel “branco” e sentirsi vivi perché in nulla diversi dagli altri. C’è una sola salvezza, quella che ci annuncia il Signore: essere Suo “discepolo” e seguirLo. Mentre il mondo i suoi affetti e i suoi beni ci incitano a seguire un’idea di felicità, di vita, di persona, il Signore ci chiama a seguire Lui, per essere noi stessi.
Quest’atteggiamento di radicale preferenza per il Signore potrà anche comportare sacrificio in certe situazioni. Perciò Gesù dice “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14,27). Portare o prendere la propria croce non significano, andare in cerca di sofferenza. Neppure Gesù è andato a cercarsi la Sua croce. Ha preso su di sé, in obbedienza al Padre, quella che gli uomini Gli hanno messo addosso e, col Suo amore obbediente, l’ha trasformata da strumento di supplizio in segno di redenzione e di gloria. La croce o le croci di cui parla Gesù sono quelle che accompagnano e necessariamente accompagneranno la scelta della Sua volontà, del Suo disegno di amore, la scelta preferenziale di Lui e di Lui negli ultimi (cfr Mt 25,40).
Scelte che possono costare sacrifici, ma che saranno compensate. Diventare discepoli, significa innamorarsi di Lui e sappiamo bene, che per l’innamorato le rinunce non si definiscono più sacrifici ma gioie. Il solo desiderio di seguire Gesù, diventando Suoi discepoli, non basta se il Signore non chiama e dà la forza di una donazione totale. Gesù cerca di evitare facili e superficiali entusiasmi. Possiamo immaginare rivolgersi a coloro che Lo seguivano e porre queste tre condizioni per continuare a seguirlo: metterLo al primo posto, davanti a qualsiasi altra persona; portare la propria croce; rinunciare ai beni. Le esigenze del Signore sono espresse con chiarezza e l’uomo è libero di aderire all’invito che a lui è rivolto.
Per seguirLo è necessario prendere una decisione personale. È naturale che la decisione possa essere timida e vacillante all’inizio ma si rafforzerà nella misura in cui il discepolo si lascia invadere e sedurre dall’amore di Gesù. Una volta accolto l’invito non può esserci niente che possa essere considerato più prezioso della sequela, nonostante comporti il carico della croce. Bisogna saper accettare con gioia i rischi e le esigenze che nascono dalla sequela. Perciò Gesù chiede un’attenta valutazione prima di impegnarsi, per evitare che si metta mano a un’opera che non si è in condizione di portare a conclusione (cfr Lc 14,28-30; 31-32).