Carolina Intoccia è un' insegnante e mamma straodinaria segnata da tante esperienze molto forti. È arrivata a San Salvo insieme alla sua famiglia da Torre Del Greco grazie a sua figlia primogenita Simona, una ragazza con la sindrome di autismo.
Quando ti sei accorta che tua figlia era affetta dalla sindrome di autismo?
Oggi mia figlia ha trent’anni. Quando è nata lei si conosceva poco e si parlava pochissimo di autismo e se qualcuno ne era affetto veniva tenuto in casa. È nata all’ottavo mese di gravidanza in seguito alla rottura delle acque. Appena nata era bellissima! Tutta tonda, sembrava già grande. Intorno ai 12 mesi ha cominciato a camminare e diceva le prime paroline. Qualche mese dopo Simona è caduta dalle scale. Sembrava che tutto era a posto e che se l’era cavata con un semplice ematoma. In seguito ho notato una regressione nel linguaggio e nei movimenti e così l’ho portata a fare un elettroencefalogramma ma mi dissero che era tutto a posto. Nessuno mi sapeva dire niente ma di fatto parlava sempre meno e i suoi movimenti erano impacciati. È arrivata l’età della scuola e con l’occhio tecnico di insegnante vedevo che lei aveva bisogno di un sostegno e così l’ho inserita in una scuola parificata con un insegnante di sostegno privato a pagamento. Ho consultato diversi medici, anche luminari di Siena tra cui uno dei primi specialisti che si è occupato di autismo in Italia. La prima cosa che mi ha chiesto è stato il saldo della parcella e dopo averla visitata ha detto “è solo un ritardo psicomotorio che scomparirà col tempo”. Ma purtroppo non è stato così. Una diagnosi precisa e scritta l’ho avuta quando Simona aveva 20 anni.
Come hai vissuto questo lungo periodo?
È stato molto tragico soprattutto perché ho incontrato tantissima cattiveria gratuita da ogni fronte, chiesa, scuola, amici, parenti e mondo esterno. Non basterebbe un libro per raccontare le varie vicissitudini che ho dovuto attraversare. Una volta ho denunciato un direttore didattico delle elementari e questo direttore dopo aver ricevuto una sospensione dal servizio per tre giorni mi ha detto “io politicamente sono più forte di lei”. All’epoca ero giovane e non avevo la malizia necessaria per rispondergli. Oggi sono diventata peggio di una leonessa, guai a chi mi tocca i miei figli.
Per una sacco di tempo ho vissuto la disperazione totale. Piangevo da sola e dicevo “perché proprio a me?” Io venivo da una famiglia molto agiata e sembrava che la mia vita doveva essere perfetta. Poi è scattato qualcosa in me e ho pensato “se proprio a me un motivo ci deve essere”. E così con il tempo ho imparato ad accettare la sua disabilità e mi sono dedicata anima e corpo al sociale. A Torre Del Greco ho cominciato a fare volontariato con gli Orionini di don Orione che si occupavano degli ultimi degli ultimi e a presentare un progetto a Napoli per l’inclusione sociale della disabilità. Sono occorsi diversi anni perché io facessi questo passaggio. Ho fatto la domanda di invalidità per Simona dopo il suo dodicesimo compleanno.
Come e perché ti sei trovata qui a San Salvo insieme alla tua famiglia?
Stavo seguendo un corso di laurea specialistica a Campobasso e cercavo una struttura che mi poteva essere di aiuto con mia figlia e quasi per caso mi hanno messo in contatto con Germana Sorge, una responsabile Del Cireneo una fondazione che è una vera eccellenza che si occupa delle persone con la sindrome di autismo. L’ho chiamata e le ho parlato di mia figlia e dei suoi comportamenti. Mi ha indirizzata subito al dottor Cerbo che ha prognosticato l’autismo di Simona. Il regolamento della fondazione prevedeva l’accoglienza solo a persone che avevano la residenza sul posto. E così abbiamo venduto la nostra bellissima villa con piscina a Torre Del Greco e ci siamo trasferiti qui a San Salvo che io conoscevo benissimo perché la mia famiglia di origine aveva comprato una casa al mare dove siamo sempre venuti a trascorrere le vacanze estive. Al Cireneo Simona ha fatto dei progressi incredibili e siamo stati istruiti anche noi familiari per vivere meglio la disabilità. Si dice “sono autistico e non sono scemo. Quando non voglio andare in un posto o fare una cosa siccome non so dirtelo reagisco in un certo modo”. Nel 2014 ho fondato insieme ad altri l’Artificio Dei onlus, unica associazione per disabili a San Salvo.
Tu che se insegnante e hai una figlia con la sindrome di autismo quale dovrebbe essere l’approccio giusto della scuola?
L’Italia a livello normativo è all’avanguardia rispetto a tutto il mondo, ma le leggi dovrebbero essere accompagnate dai finanziamenti che invece non ci sono. La differenza la fanno i colleghi di sostegno coscienziosi che amano il loro lavoro e che riescono nel loro piccolo ad avere dei risultati anche senza soldi. Un messaggio che ancora passa nelle scuole è che il ragazzo con una disabilità non deve essere un problema di un unico insegnante ma bisogna fare un progetto di inclusione nella classe che dovrebbe coinvolgere tutto il corpo docente. E’ importante anche la terminologia che si usa. Termini da evitare sono “Diversamente abili” che è sinonimo di una differenziazione netta rispetto agli altri, e “portatori di handicap”, loro non portano nulla. Quando si riuscirà a considerare chi ha una disabilità semplicemente delle persone come tutte le altre, allora il mondo avrà raggiunto un grosso traguardo.
Cosa significa per te essere una mamma di una ragazza con la sindrome di autismo?
Il fatto di avere una figlia con disabilità mi ha dato una sensibilità in più e riesco a capire se una carezza viene data con sincerità o con ipocrisia. Prima ero molto più superficiale. Ho impiegato un sacco di tempo a interiorizzare la sua sindrome e spesso noi genitori di figli con una disabilità non siamo capiti. Quando andiamo fuori ci sono persone che la squadrano da capo a piedi e poi piano piano si allontanano. È difficile che ti inseriscano in un gruppo sociale e se ci stai poi ti allontanano. Mi sono sempre mossa con mia figlia, non l’ho mai nascosta e ho sempre cercato di inserirla con i suoi coetanei.
Quali consigli ti senti di dare a chi ha un figlio con la sindrome di autismo?
Mettetevi nelle mani dei medici. Prima di incontrare il Cireneo ho portato Simona dappertutto anche da guaritori e pranoterapeuti spendendo tempo e soldi inutilmente. Io ci sono andata perché non avevo una diagnosi ufficiale. Prima non si conosceva l’autismo, oggi è possibile avere una diagnosi precoce e prima la si accetta e prima vengono presi in carico da persone competenti e meglio è per tutti. Non bisogna aver paura dell’autismo. Bisogna guardare il proprio figlio negli occhi e cercare di dargli sempre il meglio. Ogni disabilità fa male alla persona e a chi gli sta vicino ma con l’amore tutto diventa diverso.
Qual'è il tuo desiderio più grande per Simona?
L’inclusione delle persone che hanno una disabilità. Che bello che sarebbe se un giorno qualcuno suona alla porta e mi dice “Signora può venire Simona a mangiare una pizza con noi”.