Una mostra fotografica vera e sentita, senza pompa magna ma con autentica ed apprezzabile partecipazione e appariscente desiderio di rendere il potenziale evento un continuo e crescente sviluppo di progetti ed azioni che beneficiano l’individuo ed il suo talento con visione cosmopolita e senza arcaici ed anacronistici razzismi.
Il “sociale” lungi dal ridursi in un termine “astratto”, ambiguo e poco chiaro, è stato analizzato e saggiamente decodificato, dando ad esso un significato che tocca il concreto apporto di una èquipe veramente encomiabile, attiva e produttiva a livello lavorativo ed etico, capace di gestire una realtà etnica non certo assodata, il cui responsabile del centro di accoglienza Pracilio, senza Tv, senza riprese, senza microfono, senza cattedra, il Prefetto ha trattato con semplicità glottologica comprensibile anche ai non addetti, i problemi che riguardano il nostro territorio usufruibile a tutti i livelli dai migranti che possono inserirsi attivizzando mansioni ed attività culturali, lavorazioni artigianali ed artistiche di una volta come la tessitura con telai dei nostri antenati, cesti e paiole con attrezzi ormai in disuso.
Un anello che comprende le usanze, il folklore del nostro Abruzzo che certo non divaria dalle loro terre lontane, anzi ne costituisce la riprova di un universalismo quasi impensabile.
Il Sindaco Carlo Moro, senza retorica asettica, ha espresso il suo attaccamento a Lentella, la cui storia rimanda alla sua antica economia che pur poggiava sulla presenza umana legata al tratturo Centurelle Montesecco, nel punto in cui il fiume Trigno confluisce col fiume Treste, probabilmente con origini dovute ai Cistercensi ed in particolare all’Abazia di Santa Maria di Casanova, esercitando benefici sull’attività armentizia transumante su questo percorso costiero.
Tuttavia, pur senza poter parlare di un vero e proprio insediamento, ritrovamenti sporadici di piccoli bronzetti votivi e resti di un edificio di culto, attestano la frequentazione del territorio da parte di tribù italiche prima della romanizzazione.
Sul toponimo e sulla presenza di una nobildonna romana di nome Lentula che si sarebbe stabilita sul colle della Crocetta, sono state intessute molte leggende in cui l’unico elemento attendibile è il riferimento, anche se mitico, a Castelmauro, grancia (granaio) di Casanova documentata già nel 994 e in seguito concessa ai templari che vi stabilirono una “statio” (posto di guardia) e i relativi magazzini pertinenti al vicino scalo marittimo di “Penna Luce”.
Degli edifici che nel XIII secolo accoglievano monaci anziani e malati, resta la base di una “torre quadrangolare” ed alcuni muri perimetrali.
I riferimenti storici si fanno più precisi con l’arrivo dei benedettini che vi fondarono la “Chiesa di Santa Maria” collegandola al “Monastero di Sant’Angelo in cornacchiano” e, quasi due secoli dopo, con la dominazione angioina.
Nel 1280, un tale Rainaldo da Lentella rappresenta il paese dinnanzi al Giustiziere d’Abruzzo incaricato di riscuotere le tasse derivanti dai feudi.
Ma è soprattutto il centro storico, che conserva il suo assetto chiuso da case (che conserva) mura a scarpa appoggiate sui solidi contrafforti della roccia di gesso a testimonianza delle sue origini di centro fortificato sul tratturo.
Anche i palazzi Catalano e Giovannelli così come la Chiesa parraocchiale, tutti ubicati sulla parte più alta dovettero svolgere funzioni difensive, come lasciano intuire le inaccessibili muraglie non affacciate a nord ovest sulla piana sottostante.
Per averne una pur sommaria descrizione del paese antico, bisogna attendere il 1576, quando Serafino Razzi, frate domenicano, giuntovi per fondare La compagnia del Santissimo Rosario, ne magnifica la posizione, l’aria salubre e pregiata coltivazione del lino che, a suodire, darebbe il nome al paese.
Possedimento di parecchie famiglie, fino ai D’Avalos, oggi Lentella rientra nell’ambito della Comunità Montana del Medio Vastese, area del Trigno Sinello di forte sviluppo agricolo e di grande interesse ambientale e naturalistico come il Bosco degli Ulivi di don Vittoriano Pracilio (alias Claudio).
Tra le emergenze urbanistiche si segnalano le chiese di Santi Cosma e Damiano.
La prima che, per le muraglie esterne sorrette da rinforzi, conserva l’aspetto della fabbrica primitiva a sviluppo verticale, con copertura a falde, portale portale tra beato oculo nella parte superiore e campanile appoggiato sul retro del corpo di fabbrica che in alcune parti esterne ingloba frammenti lapidei e iscrizione di recupero. Restaurata completamente nel 1851, ha un interno a navata unica di impianto neoclassico con volte a botte.
Conserva alcune statue devozionali tra cui i busti lignei e policromi dei Santi Cosma e Damianocon modellino del paese, così come doveva apparire nei primi anni del 700.
Nelle vicinanze, il sottoportico dell’Assunta, rimaneggiamento di una porta medievale, mette in comunicazione la parte alta del paese con le costruzioni sottostanti all’odiena Piazza Garibaldi.
Anche la chiesa di Santi Cosma e Damiano, un tempo ai margini del paese, ma oggi del tutto compresa nell’assetto urbano, ha un prospetto verticale coperto a campana portale, lievemente originale (a sesto acuto) e oculo (apertura).
Punto di riferimento non solo devozionale del vicino tratturo, durante gli spostamenti autunnali verso la Puglia, data al 1568, come anno di fondazione.
Attualmente è meta di pelleggrinaggio nella ricorrenza della festa dei Santi Medici.
In questa occasione un posto speciale, anche nella celebrazioni liturgiche, è riservato, per antica consuetudine, ai devoti che giungono dalla vicina San Salvo.