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Il tempo attraversa le nonne

Una volta ero una nipote, ora tocca a me essere nonna

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Sono nata in una sera di marzo dei primi anni del secondo dopoguerra in una casa di Serracapriola abitata dai miei genitori, dalla nonna e dalla bisnonna.
La bisnonna si chiamava Gabriella Ricci e di lei ho un ricordo lontano, è morta a novantadue anni quando io ne avevo cinque. 
Ricordo una vecchina molto minuta, di cui si prendeva cura mia madre.  Era nata nel 1848 e ci intratteneva spesso raccontandoci le gesta di uno zio “Garibaldino” che dopo l’impresa dei Mille era arrivato a Serra con una “camicia rossa” e l’aveva presa in braccio.Sedeva abitualmente su una panca in un grande camino dove controllava a vista la cottura alla brace di funghi, patate, carciofi, anguille, uova, torcinelli e “pignate” di ceci, fagioli e lampascioni. 
Aveva un carattere molto autoritario e comandava a bacchetta sia la figlia, mia nonna, sia la nipote, mia madre. Per noi bambini era una figura familiare ma nello stesso tempo minacciosa per quel suo agitare continuamente il bastone con cui si aiutava a camminare.

La nonna invece, Teresa Alberico, era dolcissima. Anche lei ha vissuto fino a novanta anni, è morta pochi giorni dopo il mio matrimonio.
Mia sorella ed io, nei periodi in cui tornavamo a casa dal collegio, dormivamo in camera con lei. Una camera grandissima e freddissima con i letti di ferro e tanti mobili antichi. Su di un grande comò c’erano tre campane di vetro e, sotto una di queste, una statuetta di San Michele. Lì la nonna metteva le foto dei figli e di noi nipoti in modo che San Michele potesse proteggerci tutti. Io non ricordo di aver mai giocato con la nonna, le volevamo molto bene e in un certo senso la accudivamo. Andavamo a comperare per lei, a dieci lire, le matassine bianche e nere di cotone per cucire. La sua scatola degli aghi, una grande scatola di metallo dei biscotti Mellin, era un luogo da esplorare di nascosto. 
La nonna qualche volta cuciva o meglio rinacciava calze e biancheria, ma trascorreva la maggior parte del tempo dietro il balcone osservando le persone che passeggiavano per il Corso oppure leggendo gli articoli dei quotidiani. Ricordo con quanta passione seguiva la storia del delitto Montesi, leggeva e poi aggiornava tutta la famiglia degli ultimi accadimenti. Per noi era una specie di fiction ante litteram. 
Ogni domenica veniva a pranzo da noi anche la nonna paterna, Erminia Di Sabato. Dopo il pranzo le due nonne si sedevano sulla solita panca nel grande camino e recitavano “l’apparecchio della morte”, una serie di preghiere in preparazione alla santa morte. 

Il nostro rapporto con la nonna era di grande rispetto e riverenza. La aiutavamo in tutte le cose e lei docilmente accettava il nostro aiuto. 
Quando nel 1965, mia madre e mio padre si sono trasferiti in una nuova casa più moderna, c’era addirittura il riscaldamento, la nonna li ha seguiti docilmente rinunciando a molte sue abitudini e cercando sempre di cogliere i lati positivi della nuova situazione. Amava trascorrere molto tempo con noi ragazzi, durante le vacanze di Natale, quando ci riunivamo in tanti per giocare a carte, voleva stare nella stessa stanza dove stavamo noi e, facendo finta di recitare le sue preghiere, osservava il nostro comportamento e ascoltava i nostri discorsi, ma non interveniva mai come non interveniva in nessuna diatriba familiare. Stravedeva per mia sorella, la nipote più giovane che aveva addirittura il permesso di pettinarla e di accompagnarla in macchina a fare qualche giro per il paese.

Negli ultimi anni settanta mia madre, Maria De Marzio, è diventata nonna di tre nipoti, due maschi, i figli di mia sorella, e una bambina, mia figlia. 
Soprattutto con mia figlia il legame tra nonna e nipote è stato fortissimo. Mia figlia era sempre piena di idee e la nonna le metteva in pratica. 
Ogni anno progettavano e realizzavano il vestito di Carnevale come fosse un’opera d’arte. Giorni e giorni a pensare e a studiare i vestiti dei personaggi dei cartoni animati. Dopo aver deciso quale realizzare il mio unico intervento era quello di comprare le stoffe in un negozio di Vasto a via Madonna dell’Asilo, e infine la nonna cuciva, ricamava e preparava il costume con una perfezione unica. 

Se chiudo gli occhi rivedo ancora la scena, mia figlia che diceva “Nonna ho un’idea” e subito la nonna era pronta a concretizzarla lavorandoci per ore e ore. Così anche per i vestiti delle feste e per le varie occasioni. Ma mia madre non era una donna docile, nonostante questo suo affetto viscerale per figli e nipoti, non ha mai rinunciato alla sua libertà. Rimasta vedova all’età di sessantotto anni, è vissuta fino a cento anni da sola nella sua casa amministrando il patrimonio familiare e la famiglia tutta. 
Era lei il centro, a disposizione di tutti, e tutto doveva ruotare intorno a lei. I nipoti, adulti ormai, e con le loro famiglie, non hanno mai rinunciato a trascorrere la vigilia di Natale con la nonna “per far nascere Gesù Bambino” e cantare “Tu scendi dalle stelle” con le “fontanelle” in mano. 

Noi figlie siamo sempre tornate da lei, alla casa paterna dove lei ha vissuto fino alla fine, da sola con grande forza e grande personalità.

Ora tocca a me fare la nonna di due nipotini. 

E che nonna sono io? 
Una nonna sempre con la valigia in mano che corre in aiuto e in soccorso di situazioni complicate. Per ora i bimbi sono piccoli, ma io mi sento al loro servizio in una situazione ribaltata rispetto al rapporto tra me e la mia di nonna.

Oggi la nonna è un welfare familiare, è la persona a cui la famiglia giovane si appoggia per tutte le sue esigenze di aiuto, di affetto e anche economiche. Nel tempo la figura della nonna o dei nonni è molto cambiata, è rimasto il forte legame fra le generazioni, ma i nonni di oggi sono il supporto di figli e nipoti a differenza di ieri, quando erano i figli e i nipoti ad essere il supporto dei nonni. 

Ma va bene così, avere la gioia di accudire i nipotini è la cosa più bella del mondo.

 

Marina Gallo dal Corso di Scrittura Creativa della Università delle Tre Età di Vasto

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