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Anniversario istituzione Regione Molise, 55 anni dalla separazione degli Abruzzi

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Oggi 27 dicembre 2018, la Regione Molise compie 55 anni: un momento storico segnato il 27 dicembre 1963 quando con legge costituzionale fu istituita le ventesima Regione d'Italia e sancita la sua autonomia amministrativa. "Da allora - osserva il presidente del Consiglio regionale, Salvatore Micone - tanta strada è stata fatta, si sono certamente commessi vari errori, ma si è sicuramente portato questo territorio che denunciava uno dei Pil più bassi d'Italia e del Mezzogiorno, ad una realtà che tiene il passo, pur con difficoltà, con le aree del centro Italia. Certo ci sono molti problemi da affrontare - prosegue - siamo reduci da una crisi economica che ha fatto danni enormi, ma è giusto chiedersi, se non avessimo avuto l'autonomia regionale come avremmo affrontato le tempeste finanziarie e i vari disastri naturali verificatisi in questi anni, da sperduta periferia abbandonata di tante regioni".

«La ricorrenza del 55° anniversario dell’istituzione della Regione Molise impone di fare alcune riflessioni sull’attualità del regionalismo calato nella dimensione di una piccola regione, qual è appunto il Molise, e di interrogarci su quale futuro possa avere l’autonomia del nostro territorio nel contesto di nuove dinamiche di cambiamento in cui sembrano prevalere le spinte verso un regionalismo differenziato, un modello in cui ciascuna regione, ritagliandosi uno spazio di autonomia rispetto alla centralismo dello Stato, tende ad autodeterminarsi su materie specifiche e, nella forma rafforzata, anche sotto l’aspetto finanziario.

C’è una frase attribuita a Napoleone Bonaparte: “L’indipendenza, come l’onore, è un’isola rocciosa senza spiagge”. L’aforisma sottolinea le responsabilità a cui si è assoggettati per mantenere la condizione di autonomia e, quindi, i sacrifici che bisogna mettere in campo per non “precipitare a mare”. Se poi trasliamo questo concetto al Molise e alla condizione di autonomia regionale ascrittale 55 anni or sono da una norma costituzionale, dobbiamo necessariamente introdurre un’altro elemento, quello di solidarietà estrinsecata a livello costituzionale nell’art. 119, comma 3, vale a dire il fondo perequativo.

Ne consegue che una regione può dirsi sostanzialmente autonoma quando, se in disequilibrio finanziario, può utilizzare anche in misura adeguata la perequazione nazionale ed, eventualmente, europea.

Non bisogna prescindere da questo aspetto, nel senso che ove mai il regionalismo differenziato fosse finalizzato a ridurre l’apporto e la solidarietà delle regioni a saldo finanziario particolarmente elevato in misura tale da provocare la riduzione della loro maggiore capacità contributiva al fondo perequativo, allora si dovrebbe parlare di ‘autonomismo, ovvero di ‘federalismo’, ma non era questo lo spirito dei padri costituenti, i quali pensavano che la solidarietà nazionale dovesse contribuire a ridurre il gap tra regioni e, in special modo, tra le regioni del Nord e quelle del Sud.

Ma l’autonomia è, al di là della capacita di autofinanziarsi, una condizione culturale: condivisione di tradizioni, comunanza di rapporti commerciali, annessi storici e linguistici. Lo Stato deve avere come obiettivo, a garanzia dell’unità nazionale, la tutela di queste autonomie, la coesione e lo sviluppo armonico dei suoi territori.

Dobbiamo, però, chiederci: abbiamo il dovere di contribuire al mantenimento della nostra autonomia o pensiamo che sia una condizione che ci spetta di diritto? E ancora: è forse tempo di ripensare ai nostri confini, e non solo geografici?

Domande la cui risposta può essere così sintetizzata: un popolo è tale se si comporta da popolo, al di là dei protagonismi, degli individualismi e del presenzialismo, al di là delle istanze prettamente individuali. Ognuno ha il dovere di assumere il ruolo che le regole sociali gli attribuisce: i sindacati tutelano i diritti dei lavoratori, le associazioni datoriali le esigenze degli imprenditori, le associazioni di consumatori i diritti degli associati e cosi via in un dialogo costruttivo che non miri a screditare il ruolo delle istituzioni ma piuttosto lo rafforzi supportandole quando necessario o criticandole quando opportuno. Se siamo in grado di fare ciò, riceveremo rispetto dai nostri interlocutori nazionali ed europei, perché è fuori dal Molise che si decidono le sue sorti ed è, quindi, fuori regione che va ricercato il proprio peso istituzionale.

Chi in questi giorni, con un’operazione di amarcord nostalgica, cerca di far passare l’idea che solo nel passato sia esistita una classe dirigente in grado di programmare e guidare lo sviluppo del Molise, dimentica che il quadro economico di riferimento era del tutto diverso ma, soprattutto, non considera, o non vuole considerare, che oggi il Molise sconta una situazione di svantaggio causata anche dalla miopia programmatica del passato e dall’incertezza dell’attuale contesto politico-economico europeo e nazionale, fattori questi che hanno contribuito a determinare situazioni di crisi nella sanità, nel tessuto produttivo  e in altri settori nevralgici della nostra economia.

Chiarito ciò, riteniamo che il Molise abbia delle carte importanti da giocarsi e che potrebbe ribaltare lo svantaggio in vantaggio. Ci riferiamo alla bassa densità di popolazione, alle eccellenze enogastronomiche e culturali da preservare e valorizzare, alle oasi naturalistiche e ai paesaggi di spiccato interesse ambientale, alle enormi risorse idriche che servono anche le regioni limitrofe.

Ma perché ciò sia possibile, è necessario lavorare a sostegno di un progetto di regionalismo  o di federalismo compensativo, nel senso che lo Stato centrale e le altre regioni più ricche debbono, in via preliminare, mettere in condizioni le regioni come il Molise di elevarsi al rango infrastrutturale delle altre regioni e, segnatamente, di quelle del Nord.

A tal riguardo, riteniamo vada varata una stagione di interventi straordinari per il Molise e per il Sud in termini non tanto di assegnazione di finanziamenti, quanto di attivazione degli interventi già assegnati.

I punti cardine di questa nuova stagione sono lo snellimento della burocrazia e la riduzione dei livelli di controllo, che ritardano enormemente l’utilizzo dei fondi sia europei che statali; il maggiore utilizzo delle procedure negoziate di assegnazione dei lavori pubblici; la rapida erogazione dei fondi pubblici una volta assegnati alle imprese; la formazione professionale continua dei dipendenti pubblici; la maggiore attribuzione della quota di fondo perequativo non attribuito esclusivamente su parametri demografici.

Insomma, immaginiamo una stagione di snellezza delle procedure e di rapidità degli interventi finanziari, accanto a maggiori e più diffuse competenze dei pubblici funzionari.

Fatte salve queste condizioni, potrà utilmente parlarsi di regionalismo differenziato.

Certo, nelle more che si compia tutto ciò e sempreché accada, non possiamo stare con le mani in mano. Quello che occorre fare, e che stiamo facendo a livello di Conferenza delle Regioni ma anche in Europa con i progetti di cooperazione, è trovare partner con cui fare percorsi condivisi. Solo così potremo evitare che il macroregionalismo cancelli questi cinquantacinque anni di autonomia».

L’intervento del presidente Toma in occasione del 55° anniversario dell’istituzione della Regione Molise.

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