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Autoporto, Amazon e il percorso negli anni di una classe dirigente locale di un territorio sempre meno sostenibile

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L’intenso dibattito che si è prodotto intorno all’arrivo di Amazon nella zona industriale di San Salvo, vede l’intero quadro politico d’ambo gli schieramenti, completamente trasversale nelle linee espresse e nell’azione politica inseguita. Tanto il PD quanto la Lega, la classe dirigente di opposizione e di maggioranza conferma la totale subalternità alle logiche del mercato e della finanza. Due facce della stessa medaglia ben lontane dal proporre soluzioni davvero innovative per lo sviluppo di questo nostro territorio. L’autoporto è infatti l’emblema del fallimento di quel Centro Sinistra di un tempo che fu, che concentrato intorno alle proprie carriere parlamentari, ha realizzato questa struttura al costo di 33 milioni di euro, immaginando che lo sviluppo del territorio passasse attraverso la congiunzione produttiva dei due versanti dell’Adriatico, passando per Gaeta nella totale noncuranza dell’utilizzo di una strada arcaica, pericolosa e assassina come la Trignina. Una idea fallimentare che ha semplicemente prodotto uno sperpero di denaro pubblico e che al territorio non ha portato nemmeno l’ombra di un valore aggiunto. All’epoca vennero ignorati i documenti dei Comunisti che assieme all’Arch. Laura D’Alessandro, proponevano un “patto turistico”, pensando a percorsi ciclopedonali, a cavallo, valorizzando il camminamento tra il convento di San Buono e il Santuario di San Michele di Liscia, o i percorsi pedonali e di mountain bike di Celenza sul Trigno e Roccaspinalveti oltre alla valorizzazione enogastronomica di aree interne e costiere. Avevamo proposto la vocazione turistica del Porto di Vasto (considerato quella industriale di Ortona), oltre al trasferimento dell’area industriale di Punta Penna. I DS e poi il PD hanno preferito occuparsi di opere faraoniche, di violenta marginalizzazione delle forze politiche critiche, di Patti Territoriali serviti solo a rimpinguare le tasche già colme di noti professionisti. Tutto per le proprie carriere personali, in alcuni casi riuscite in altri molto meno. Cosa rimane di quei 20 anni di Centro Sinistra? Nulla. O meglio rimane l’autoporto costruito con 33 milioni di soldi pubblici (ovvero i nostri), e svenduto al mostro dell’e-commerce Amazon alla cifra di 7 milioni e mezzo. Per cui ben 25 milioni e mezzo verranno regalati a un colosso emblema del maltrattamento e dello sfruttamento del lavoro che paga il 3% di tasse al nostro Paese e il cui padrone Jeff Bezof, ha intascato durante tutto il lockdown ben 24 milioni di dollari. Tutto il sistema politico locale e regionale ha guerreggiato affinché nel più breve tempo possibile, fosse concesso l’autoporto ad Amazon, l’inventore del braccialetto elettronico con il quale ha inanellato tutti i suoi malpagati schiavi in giro per il mondo come se fossero vacche. Emblema della più esemplare destrutturazione dei più elementari diritti sociali del lavoro, questo mostro produrrà un’occupazione elevatissima, di scarsa qualità e con ritmi di lavoro difficilmente sostenibili per più di due anni consecutivi da qualsiasi comune essere umano. Quando avrà spremuto i lavoratori di tutto il territorio fino all’ultima goccia di sudore, andrà altrove a fare lo stesso anche se nel frattempo, avranno abbassato la saracinesca migliaia di attività vere, migliaia di piccole realtà che ancora oggi garantiscono quel po’ di lavoro autentico. Dopo Amazon il vastese diventerà un deserto e puntualmente spunteranno come funghi velenosi quei giornalisti, quei dirigenti politici, quei deputati che oggi sventolano la bandiera oscura dell’e-commerce e che domani si chiederanno perché è accaduto tutto questo alla costante ricerca di responsabili che al contrario avranno davanti agli specchi tutti i giorni.Quasi nessuno ha anche solo provato ad interrogarsi sulla qualità del lavoro che potrebbe scaturire da un investimento del genere e sul futuro occupazionale complessivo del territorio. Se si provasse a guardare cos’è Amazon dall’interno, anziché solo dallo schermo di un PC per ordinare l’ultimo modello di cuffie bluetooth, si noterebbe un magazzino controllato e gestito in regime tayloristico portato ai massimi livelli, cioè una organizzazione del lavoro scandita dal primo all’ultimo secondo di lavoro con l’uomo al servizio di un algoritmo che detta tempi di smistamento oltre i limiti umani. Lo raccontano, ormai, numerose inchieste: ritmi imposti anche di 360 smistamenti l’ora, 6 al minuto, uno ogni dieci secondi, percorrendo, in una giornata, anche 20 km con una tensione fisica, mentale ed emotiva così alta che molti magazzinieri Amazon sono dovuti ricorrere a farmaci per tenere quei ritmi lavorativi, mentre si contano numerosi infortuni dovuti allo sfasamento tra i tempi impostati sulle macchine e i limiti fisiologici umani. La qualità del lavoro, poi, rispecchia la sua svalorizzazione in corso da decenni in Italia: mansioni di bassa qualifica e a poco valore aggiunto. Può sembrare paradossale parlando dei milioni che servono per realizzare un polo logistico, ma quell’andamento nella qualità del lavoro è il riflesso di bassi investimenti, della competitività cercata solo sulla componente costo del lavoro che fa dell’Italia la subfornitrice per mercati esteri senza alcuno stimolo per quello interno. Il fatto che in un territorio come quello vastese, dove nel raggio di circa 30 chilometri sono insediate tra le più grandi industrie italiane, con un indotto enorme, si debba festeggiare per l’arrivo di un colosso che produce lavoro usa e getta a basso costo, dovrebbe indurre la politica a porsi delle domande, ad esempio: perché, nonostante le industrie, oggi abbiamo una crisi dal lato dell’occupazione e da quello del reddito? Perché non ci sono investimenti che alzino la qualità del lavoro e il valore aggiunto delle produzioni? Che cosa comporta, in prospettiva, migliaia di lavoratori impiegati in occupazioni come quelle domandate nel settore dell’e-commerce? Il fatto è che le risposte, se ci fossero, certificherebbero il fallimento della politica basata sull’idea, comune ai maggiori soggetti politici, che il mondo questo è e non si può cambiare, che lo sviluppo delle forze produttive abbia un andamento neutrale e faccia il benessere di tutti indistintamente, che lasciare fare al mercato sia la migliore soluzione possibile. In sostanza, che la politica deve solo amministrare quel che viene, rinunciando a determinare o almeno in qualche modo condizionare le sorti di un territorio: ecco il suo fallimento. Un fallimento che purtroppo, però, si riflette sulle condizioni di vita della stragrande maggioranza delle persone, con lavoro dequalificato, a basso reddito, che non permette di migliorare le condizioni di lavoro e di immaginare un futuro migliore per se stessi e i propri figli; che scarica sulla società i costi di lavoratori ipersfruttati, buttati fuori dal ciclo produttivo quando non servono più, con le loro patologie e la riduzione degli anni di vita sana. Mentre giganti come Amazon vedono crescere gli utili anche in periodi tragici come la pandemia da Covid-19. Il Partito Comunista si batterà contro la deriva dello sfruttamento e contro una classe politica che fallisce ad ogni suo passo, incapace di progettare un’idea del territorio sostenibile e ignorante nella pedissequa assenza di analisi che vadano al di là del proprio grasso e piccolo naso.

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