Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, a Grindavìk, in Islanda, il consiglio comunale locale approvò una delibera finalizzata ad avviare l’esplorazione del territorio attorno a Svartsengi, con l’intento di verificare l’attività geotermica che caratterizzava eventualmente quella porzione di sottosuolo, così che la stessa potesse essere sfruttata per garantire il riscaldamento delle case del paese. Vennero eseguite due trivellazioni, che permisero di compiere i primi tentativi di esplorazione, effettuati a una ventina di chilometri di distanza dall’aeroporto di Keflavìk. La prima trivellazione raggiunse i 240 metri di profondità , mentre la seconda arrivò fino a 400 metri. Entrambi i tentativi garantirono i risultati sperati, e consentirono di appurare che quella era una zona ad alta temperatura.
Una scoperta incredibile
La storia che vi stiamo raccontando è quella di Blue Lagoon Islanda, e merita di essere letta e conosciuta fino in fondo per i dettagli incredibili che la caratterizzano. Abbiamo detto della delibera del 1969 e delle successive trivellazioni. Ebbene, nel 1973 venne presa la decisione di proseguire, e di effettuare delle perforazioni che raggiungessero una profondità ancora più elevata, fino a 1.500 metri la prima volta e fino a 1.700 metri la seconda volta. Tali scavi garantirono dei risultati quasi incredibili, con un esito che andò oltre le previsioni più rosee. Infatti, si ebbe modo di accertare che la zona ad alta temperatura faceva parte di un sistema geotermico che si estendeva per ben 400 ettari.
I lavori successivi
A quel punto la compagnia pubblica Hitaveita Suournesja hf iniziò i lavori finalizzati in primis a estrarre il fluido geotermico e poi a distribuire l’acqua calda che sarebbe stata utilizzata per garantire il riscaldamento delle case del territorio. L’azienda creò un sistema di condutture che si sviluppava per circa 300 chilometri, non solo sotto terra ma anche in superficie: condutture che sono visibili ancora oggi, così come ancora oggi si possono notare i segni di quella che ai tempi – si parla di circa mezzo secolo fa – fu ritenuta una vera e propria rivoluzione. Grazie al sistema di condutture in questione, l’acqua può arrivare fino alle abitazioni a una temperatura che si aggira fra gli 80 e gli 85 gradi, con numeri ancora superiori nei territori situati più vicino all’area geotermica nella quale l’acqua viene estratta, al punto che per raffreddarla e far sì che possa essere usata occorre sfruttare le acque di ritorno dell’aeroporto.
La prima centrale geotermica
Svartsengi ha ospitato anche la prima centrale geotermica di tutto il Paese. Grazie al vapore ad alta pressione che caratterizzava in maniera significativa il sottosuolo, fu possibile produrre – attraverso un sistema di turbine a vapore che è attivo ancora adesso – elettricità , per un totale di 150 MW di energia termica e di 75 MW di energia elettrica. Il funzionamento di una centrale geotermica è tutto sommato semplice da spiegare: una volta effettuata l’estrazione del calore, si porta in superficie quella che viene definita salamoia geotermica, che corrisponde a una porzione del liquido che si trova nel sottosuolo. Si chiama salamoia in quanto consiste in una soluzione salina ad alta concentrazione e ad alta temperatura, ricca a volte di metalli dissolti e di minerali che ha accumulato dopo aver attraversato le rocce crostali che si trovano nel sottosuolo in profondità .
La salamoia geotermica
Tali acque, in molti casi, vengono riutilizzate dalle centrali geotermiche, che le reintroducono nel sottosuolo in modo che si possa generare del nuovo vapore a pressione elevata. Nella centrale di Svartsengi, invece, non si è optato per questa soluzione: si è deciso di scaricare queste acque di scarto in un vicino campo di muschio e lava. Così, a partire dalla fine degli anni ’70, queste acque ad alta temperatura hanno iniziato a formare, con il passare del tempo, una pozzanghera che poi si è trasformata in uno stagno e, diventando sempre più grande, in un vero e proprio lago. Con l’accumularsi dei cicli estrattivi, questo laghetto di acqua azzurro e con riflessi lattiginosi si trasformò nella Blue Lagoon, un bacino in cui i ragazzi andavano a fare il bagno. Alcuni islandesi con una malattia della pelle, la psoriasi, notarono che grazie ai bagni effettuati in questo lago il loro disturbo spariva, già sul breve periodo. Vennero, pertanto, effettuati degli studi scientifici che confermarono la qualità delle acque e la loro utilità per il trattamento non solo della psoriasi, ma anche di eczemi e disturbi come la sciatalgia e i reumatismi. Il comune di Grindavik, a quel punto, strutturò l’area, trasformando il laghetto in una vera e propria piscina.