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Recensione: Questione ''ponte sul Trigno'', emblema di un modello di sviluppo

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Sono davvero tante le considerazioni indotte dalla vicenda del crollo e della ricostruzione del ponte sul fiume Trigno tra Montenero e San Salvo. Perciò innanzitutto i miei apprezzamenti a Rossano D'Antonio, per ''Il caso ponte sul Trigno'', che si è cimentato in un reportage-documento (in edizione digitale) di tutto rispetto. Un lavoro essenziale per la comprensione dei fatti (attraverso gli articoli di cronaca o altro) ma accompagnato da riflessioni senza dubbio originali, che arricchiscono il dibattito sul tema di nuove prospettive. Belle anche le fotografie, soprattutto quelle del 1929-32, molto didattiche nel mostrarci un alveo dalle caratteristiche assai diverse da quelle attuali. La prima impressione, che deriva da una lettura anche superficiale del lavoro, è che un evento calamitoso di tale portata, per molti aspetti ''annunciato'' (il vecchio ponte era in cattive condizioni, già più volte consolidato nei piloni negli ultimi decenni) comporta danni consistenti alle collettività; che poi devono essere sanati con milioni di euro, tratti dalle esangui casse degli enti pubblici locali, già allo stremo per le spese sanitarie, delle infrastrutture viarie, dell'edilizia scolastica, del sociale ecc. La seconda è che la classe politica (in genere poco sensibile e scarsamente acculturata sulle questioni idrogeologiche) persino nel momento in cui riesce ad evitare la polemica e lo scontro interno si trova poi ad affrontare l¹emergenza e la successiva fase progettuale e di cantiere con i problemi derivanti dalla burocrazia e dalle competenze istituzionali; ragioni che spiegano i tre anni occorsi per compiere quegli atti che la gente riteneva possibili nel giro di un anno o poco più. Quello che però mi ha maggiormente interessato del lavoro di Rossano D'Antonio è la verifica degli effetti, anche psicologici oltre che economici, del crollo del ponte per gli abitanti di Montenero di Bisaccia (in ''Postfazione''). Il disagio dei cittadini della ''sponda destra'', la loro rabbia, la loro pressione in alcuni momenti assembleari è cosa non a tutti nota, specie a noi che abitiamo sulla ''sponda sinistra''. Una partecipazione popolare (certo derivante dai disagi al complesso e radicato rapporto sul piano economico, sociale e dei servizi tra abitanti di Montenero e realtà del Vastese e abruzzese più in generale) che la sensibilità non solo giornalistica ma soprattutto politica e culturale di Rossano D'Antonio è riuscita a cogliere e a rendere al meglio; e che fa comprendere quanto in una democrazia possa essere importante il contributo, anche critico, dei cittadini; e quanto deleteria sia invece stata l'assenza o la scarsa presenza della gente di San Salvo e di Vasto rispetto al problema (dove alcuni amministratori sono arrivati a pensare che forse era meglio così, cioè ''tagliare i ponti'' con Montenero!). La conclusione, cioè il discorso sulle cause del crollo del ponte, ci riporta all'oggi e a quanto si diceva già: l¹insufficienza della cultura ambientale in tutti gli ambiti. Spulciando i testi di storia e le relazioni di specialisti, D¹Antonio ha scoperto che il Trigno è stato spesso irruento, pericoloso, devastante; ha scoperto che erodere il mantello degli inerti scopre le strutture dei ponti e ne facilita la rovina. Tutto questo rimanda in altri termini al nostro modello di sviluppo, avallato per decenni sostanzialmente da tutti ma che di ecocompatibile non ha nulla. Se da San Salvo, con occhio critico, guardiamo verso la sponda destra del Trigno notiamo un paesaggio notevolmente modificato nell¹ultimo cinquantennio: cave di gesso e di argilla (con colline interamente demolite, tanto da rendere necessario il rifacimento delle carte topografiche); erosione accelerata con calanchi; rischio di frane sulla collina di Montebello (che uno sciagurato intervento di raddrizzamento dell¹ansa del fiume sottostante ha messo completamente a rischio, casale e torre di Montebello compresi). Se facciamo altrettanto dalla sponda di Montenero, osserveremo: la cava di argilla che sta provocando lo scivolamento della collina di Lentella (nella zona della Laterlite); le cave di inerti sulla pianura o sui terrazzi alluvionali della Bufalara di Cupello (molte delle cave sono state ricoperte, per cui risultano non più visibili; ma il territorio, in quella zona, dal punto di vista geologico, è stato ridotto peggio di una groviera!); le discariche non bonificate ex urbana di San Salvo e per rifiuti tossici e nocivi del CONIV (alle Motticce, proprio sul bordo del letto del fiume); la discarica della SAPI e il vicino spianamento per il cosiddetto ''autoporto''; la caotica rete stradale e urbanizzazione tra San Salvo e la sua marina. Certo, tutto questo è progresso! Ma cosa ci possiamo aspettare in termini idrogeologici in un prossimo futuro? Solo il peggio, è chiaro. Perché tutto è consumato, persino la cultura ambientalista di qualche decennio fa, l'ultima utopia del Novecento. Non voglio dire che trovare la soluzione ai tanti problemi sia semplice; e neppure che possa essere indolore. Ma qualcosa di meglio poteva e può essere fatto: se solo ci fosse stata e ci fosse ancora la voglia di discutere, di affrontare i problemi uno per volta nella maniera più corretta, e cioè con l'apporto di tutti e senza paletti derivanti dagli interessi particolari. E ancora, senza stupide contrapposizioni campanilistiche o regionalistiche: perché la verità è che non c'è ancora una cultura del territorio nel suo complesso e neppure un dialogo tra le amministrazioni comunali contigue, che siano o non siano dello stesso colore politico. San Salvo, 7.01.2006 Giovanni Artese Rossano D'Antonio Il caso ponte sul Trigno in edizione digitale www.monteneronline.it
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