La Giunta Regionale adotta un Piano di Tutela delle Acque che
“dimentica” le misure per affrontare il rischio petrolio per falde,
fiumi e acque costiere. Le associazioni: recepire le nostre
osservazioni per fermare la deriva petrolifera in Abruzzo
L’acqua abruzzese è a fortissimo rischio di inquinamento a causa delle
attività connesse allo sfruttamento e trasporto degli idrocarburi, ma il
piano delle acque adottato recentemente dalla Giunta Regionale
incredibilmente non affronta il problema.
A denunciare questa situazione è il dossier di WWF e Legambiente dal
titolo “ACQUA A RISCHIO PETROLIO! Modificare il Piano Tutela delle Acque
della Regione Abruzzo per far fronte alla petrolizzazione della Regione”.
Il Piano di Tutela delle Acque, sulla base di quanto previsto del Testo
Unico dell'Ambiente (Decreto Legislativo n. 152/2006) “contiene, oltre
agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento
degli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto, le misure
necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.”
Il Piano di Tutela delle Acque è quindi un piano di settore che si
occupa delle acque superficiali quali laghi e fiumi, delle acque
sotterranee e delle acque marino-costiere. La legge prevede che il Piano
esamini analiticamente tutti gli elementi di pressione antropica e
definisca tutte le misure per la protezione e conservazione delle acque.
La Regione Abruzzo ha adottato il Piano di Tutela delle Acque con
Delibera di Giunta Regionale n. 614 (pubblicata sul BURA del 24
settembre 2010).
Attualmente è nella fase di ricezione e valutazione delle osservazioni,
di Valutazione Ambientale Strategica e di Valutazione di Incidenza
Ambientale sugli effetti del Piano sui Siti di Interesse Comunitario e
sulle Zone di Protezione Speciale della Rete Natura2000.
Dopo il passaggio al Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della
Regione, passerà all’esame del Consiglio Regionale per l'approvazione
definitiva.
Il Piano, nella versione adottata dalla Giunta, incredibilmente non
accenna in alcuna parte al tema dello sfruttamento degli idrocarburi.
Non fa menzione delle istanze di ricerca e delle concessioni per
l’estrazione di idrocarburi (sia metano che idrocarburi liquidi) che
attualmente coprono il 51,07% del territorio regionale (coinvolgendo il
72,5% dei comuni). Non cita le 722 perforazioni già effettuate nella
nostra regione dal secolo scorso fino al 31 dicembre 2007.
L’approfondito dossier di WWF e Legambiente evidenzia l’elevatissimo
rischio ambientale connesso allo sfruttamento da idrocarburi per fiumi,
falde e acque marino-costiere della regione. Recenti ricerche realizzate
dai principali centri scientifici italiani ed esteri dimostrano come
l’Adriatico centrale sia già ora una delle aree del Mar Mediterraneo con
maggiore frequenza di sversamenti accidentali o volontari di petrolio in
mare. Viene considerato al massimo livello di rischio assieme al Mar
Ligure (figure allegate alla fine del comunicato).
Il 30% del greggio mondiale trasportato per nave segue rotte
mediterranee: circa 1/3 di questo arriva greggio nel Mar Adriatico dove
si trovano una decina di porti petroliferi, 7 terminali, 3 oleodotti, 13
raffinerie e quasi un centinaio di piattaforme offshore (alcune attive).
Il Mar Mediterraneo è già ora il mare più contaminato al mondo da
idrocarburi con una media di 38 milligrammi per metro cubo di acqua. Si
stima che ogni giorno nel Mar Adriatico centrale passano 5-6 navi che
trasportano sostanze pericolose.
Per quanto riguarda i rischi di contaminazione per l'acqua sulla
terraferma basterà ricordare che nei soli Stati Uniti dal 1980 al 2003
sono stati registrati 51.829 casi di perdite di olio nelle aree interne
del paese con una media di quasi 40 milioni di litri di olio sversati
nell’ambiente ogni anno.
Dichiara Angelo Di Matteo, presidente di Legambiente Abruzzo: “È grave
che la Regione Abruzzo vari un Piano di Tutela delle Acque che non
affronta il rischio derivante dallo sfruttamento, lavorazione e
trasporto degli idrocarburi quando esistono casi eclatanti degli effetti
sull'ambiente degli incidenti che avvengono frequentemente presso pozzi,
petroliere e oleodotti e degli sversamenti connessi alle normali
attività di gestione di queste strutture. Il dossier contiene dati
incontrovertibili sulla pericolosità di queste attività per fiumi,
falde, acquiferi e per le acque marino-costiere della regione. Basta
osservare le immagini del disastro che provocò l'esplosione del pozzo di
petrolio di Trecate, quelle del fiume Lambro devastato dagli idrocarburi
e le mappe del Joint Research Center dell'Unione Europea sugli
sversamenti nel Mar Mediterraneo per comprendere perché riteniamo
inaccettabili le lacune del Piano di Tutela varato dalla Giunta
Regionale. Tutto ciò nonostante le associazioni avessero segnalato per
tempo alla Regione la necessità di includere nel piano vincoli ed azioni
di prevenzione. Da tempo chiediamo alla Regione di istituire un tavolo
di confronto dotandosi di personale esperto in materia di idrocarburi:
purtroppo questa nostra richiesta è rimasta inascoltata. Ad esempio, chi
mai potrebbe sostenere che vietare un pozzo petrolifero a monte di
sorgenti oppure a fianco di corsi d’acqua sia illogico e non rientri tra
le misure necessarie che le Regioni possono intraprendere per tutelare
le acque?”.
Dichiara Dante Caserta, consigliere nazionale del WWF: “Il nostro
dossier dimostra la totale incompatibilità tra sfruttamento degli
idrocarburi e tutela degli acquiferi, sia, ovviamente, nelle aree
destinate alla salvaguardia delle acque destinate al consumo umano, sia
nelle aree in cui siano presenti corpi idrici sotterranei significativi
e d'interesse, peraltro già fortemente pregiudicati dal punto di vista
della contaminazione. Per questo riteniamo che il Piano di Tutela debba
prevedere specifici divieti alle attività di ricerca e coltivazione di
idrocarburi per quanto riguarda la tutela dei corpi idrici sotterranei e
la tutela dei corsi d’acqua, prevedendo consistenti fasce di rispetto
attorno al reticolo idrografico superficiale. Allo stesso modo si
possono prevedere esclusioni per la tutela per le acque marino costiere,
per le quali bisogna attrezzarsi per prevenire e mitigare i rischi
derivanti dagli sversamenti. WWF e Legambiente chiedono che nel Piano di
Tutela delle Acque:
a) sia aggiornato il quadro conoscitivo, usando i dati relativi a
concessioni e pozzi peraltro elaborati dalle due associazioni;
b) sia realizzato ed inserito uno studio sui rischi connessi allo
sversamento di petrolio in mare, individuando le aree a maggior rischio
utilizzando le ricerche citate nel presente dossier;
c) siano immediatamente perimetrate le zone di tutela, salvaguardia e
protezione delle acque destinate al consumo umano in cui vietare tutte
le attività produttive connesse agli idrocarburi;
d) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per
l’estrazione, e di strutture collegate all’estrazione di idrocarburi
(oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la raffinazione e la
lavorazione ecc.) nelle aree interessate da corpi idrici sotterranei
significativi e di interesse;
e) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per
l’estrazione, e di strutture collegate all’estrazione di idrocarburi
(oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la raffinazione e la
lavorazione ecc.) nelle aree attorno ai corpi idrici superficiali
d’interesse, individuando una fascia di rispetto di almeno 3 km attorno
ad essi;
f) siano previste specifiche norme di comportamento e di monitoraggio
(analisi in continuo, telecamere ecc) presso i punti di attracco delle
navi che trasportano idrocarburi liquidi;
g) siano previste forme di prevenzione e previsione connesse al rischio
di sversamento di idrocarburi liquidi in mare”.
Per le due Associazioni, il Piano di Tutela delle Acque, assieme ad
altri strumenti, dovrà costituire uno dei baluardi tecnici della regione
contro la deriva petrolifera per assicurare la tutela a tutto il
territorio regionale.