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I SALVANESI ERANO SOPRANNOMINATI " LE PANZANERE"

Perché? ai posteri l'ardua sentenza

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Nei tempi passati, tra gli abitanti dei quartieri, vi era una forte rivalità. A San Salvo, tra i ragazzi del “ Quartammondë” (il circondario del Corso Garibaldi) e del “Quartabballë (il circondario della Strada di Istonia) non c’era molto “affiatamento”. I “Quartabballesi ” avevano un temperamento aggressivo. Appena vedevano i ragazzi di altre contrade per le strade del loro quartiere cominciavano a colpirli con una grandine di sassi. Purtroppo più la gente è vicina più si scatenano sentimenti di astio. Ancora oggi, tra i paesi limitrofi, esiste un ostile campanilismo. Era una consuetudine prendere in giro gli abitanti dei paesi viciniori. Prendevano generalmente spunto da qualche caratteristica individuale. Creavano appellativi scherzosi, canzoni dileggianti, scritti burleschi, scioglilingua e battute. Gli abitanti dei paesi vicini avevano affibbiato ai Salvanési l’epiteto di “panzanerë”. Per le pance abbronzatissime? Perchè raccontavano panzane? Ai posteri l’ardua sentenza. Ecco uno scritto scherzoso risalente a all’ inizio del ‘900 ed estratto da un volume di Laura Fiorentino Fabrizio di Cupello SANDE SALVE: NA CASE E NU FORNE/ LE CUPELLE: NA CASE E N’ORTE/. PANZANARE DI SANDE SALVE/CUCCIULONE DE LU CUPELLE/ ‘NGIAMURRITE DI LU VASTE/ FUFACCHIE DE LU CASALE / CIAMMAJCARE DI SCIRNE/ BUSCIARDE DE PILLUTRE, ASINARE DI FURCI/ COCCIA CAVUTE DI ISCE/ SCAVACCIATE DI LA LISCIA/ CACAFUME DI SANTE BUONE. Chiù cammine e chiù marchisciàne truve/. Cupillese cule appese: tre quartìne e nu turnèse/. Mundrusciàne sfascia campàne, mammete è vìcchie file la làne. Sòrete è giovane e fa la puttàne/. Vastaròle magna fasciòle, venne lu lacce, accatte la ciacce. La mette a lu tjiàne, Vastarele lu ruffiàne/ . Chille di Ursògne tè li chiòche e ni li ògne/. I Salvanési nei confronti dei Vastesi usavano dire: ” Vastaròle magna fasciòle, pìsce a lu létte e dice ca chiòve”. Insomma ogni paese, aveva il suo difettuccio. E’ il caso di dire “ Chi di schiéne e chi di pétte, ognùno ha il suo difétte”. Michele Molino
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