Nel censimento del 1932, San Salvo, contava 3.219 abitanti. Le strade erano piene di fango e letame; i marciapiedi erano selciati con dei piccoli ciottoli prelevati dall’alveo del fiume Trigno. Mancavano le fognature. Le acque di rifiuto erano incanalate lungo i bordi dei vicoli. I rifiuti organici venivano scaricati nelle ore notturne in discariche abusive. In molte abitazioni di contadini i locali attigui alla cucina o alla camera da letto erano adibiti a stalle. La piramide sociale vedeva all’apice: i benestanti ( pochissimi) e i liberi professionisti, ; seguivano: i titolari di uno stipendio, gli artigiani, i contadini, i braccianti e i nullatenenti. I signori, ovviamente non avevano problemi economici. Oreste Artese, farmacista in Corso Garibaldi, fu il primo salvanese ad acquistare una Fiat 500 OM. Seguirono: Nicola Artese, Gaetano de Vito tenente dell’esercito nel 1918 e podestà del Comune di San Salvo con la Fiat 509, don Vitaliano Ciocco segretario del fascio e medico condotto.
La Cinquecento dei De Vito finì miserevolmente. Durante la guerra mondiale il comando dei tedeschi ordinò che i possessori di auto avrebbero dovuto consegnare tutte le gomme. Don Gaetano senza aspettare, fece come i tedeschi avevano ordinato. Un giorno facendo una capatina nel garage si accorse che la carcassa dell’ automobile gli era stata sottratta. Dopo alcuni anni gli fu riferito che in un profondo burrone nella zona campestre di Castiglione Messere Marino si trovava l’auto scomparsa. Il primo chianghìrë (macellaio) è stato Remmicchele. Vendeva solo un pò di agnello. La carne di vacca era inesistente. Il primo sansalvese ad esercitare l’avvocatura fu Costantino Artese. Aveva l’abitazione sulla via Orientale. Di lui, le persone più anziane, raccontano una storiella divertente.
Il macellaio aveva finito di appendere un agnellotto al gancio della sua macelleria. Un cane fiutò l’odore della carne fresca e, guidato dall’istinto animale, giunse in un attimo alla macelleria. Si avvinghiò sulla preda e cominciò a divorare grossi pezzi di carne. Arrivò il titolare dell’esercizio, pertanto il cane fu costretto ad abbandonare la preda, e quindi scomparire tra le viuzze. Dell’agnello intero era rimasto appeso al gancio molto meno dell’altra metà. Il macellaio riconobbe il cane dai colori dei pelami, ci mise poco ad a individuare il padrone del cane. Apparteneva a don Costantino.
Tutto infuriato si avviò verso la casa del prestigioso avvocato. “Don Custandì - esordì - so minùte a tta pé nu cunséjie, nu cuànë zà magnàte mezz’ agnelle c’avè ppase” (cioè, don Costantino sono venuto da te per avere un consiglio, un cane ha mangiato metà del mio agnello che avevo poco prima appeso). Pronto intervento di don Costantino: ” Il padrone del cane è tenuto a risarcirti del danno con la somma di lire mille”. Il macellaio ribatté subito : ” Si prùprie li vu sapà, è lu cuane tò che za magnàte l’agnélle” (se proprio lo vuoi sapere , è il tuo cane che ha mangiato l’agnello). Alle parole del macellaio, don Costantino trasilì: “ Se io ti devo dare mille lire per il risarcimento dell’agnello, va bene, sappi però che per la mia consulenza legale mi devi tu duemila “. A quelle frasi, il macellaio, fece le scale in quattro e quattr’otto e scomparve.
Storie tramandate di generazione in generazione. Piccole storie. “ Noi siamo tutti storia, siamo le nostre radici, se ci manca la storia manca il contatto con noi stessi”. Lo ha detto Joaquin Navarro Valls, consigliere di Giovanni Paolo II.
Michele Molino
“P.S” fono in copertina ( a sinistra la casa di don Costantino Artese)
2^ foto Fiat 509 di don Gaetano de Vito (R. Artese tipografia Editrice Histonium-Vasto-)