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Inchiesta sugli effetti della crisi economica a San Salvo

Intervista a Mario Codagnone

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Diamo inizio a questa nuova inchiesta, annunciata nelle sue linee generali, con una intervista a Mario Codagnone, segretario provinciale della FIOM-CGIL. Il tema affrontato riguarda le imprese industriali e artigiane, il lavoro salariato e il ruolo del Sindacato nell’attuale, difficile fase di congiuntura. D. Qual è lo stato attuale delle imprese industriali e artigianali nonché dell’occupazione nella nostra zona? R. Nell’area industriale di San Salvo, nel settore metalmeccanico lavorano al momento circa 2.400/2.500 dipendenti (tra la Denso e le medio-piccole aziende); nel settore chimico-vetrario (Pilkington, indotto e altro) circa 3.000 dipendenti. A Punta Penna, nel settore chimico e affini (Puccioni, Ecofox ecc.) sono impiegati circa 100 dipendenti; 400 circa in tutti i restanti settori. Peggiore è la situazione dell’area della val Sinello, dove sono rimaste attive circa 1100 unità lavorative, che tuttavia, con la chiusura della Golden Lady, si ridurrebbero a 700 circa. Nonostante la cassa integrazione interessi quasi tutte le aziende, in particolare in quest’ultimo anno, si può dire che le due maggiori aziende del Vastese nel complesso hanno tenuto. D. Ma in che modo si è evoluto il quadro imprenditoriale ed occupazionale dell’area S. Salvo-Vasto-Gissi a seguito della crisi 2008/2011? R. Nell’area industriale di San Salvo, possiamo dire che la crisi ha inciso limitatamente sull’apparato industriale, in quanto sono stati persi solo 200 posti di lavoro circa negli ultimi tre anni. Dobbiamo precisare, però, che le due maggiori imprese, le multinazionali Pilkington e Denso, si erano già riorganizzate in precedenza. Ad esempio, la Denso tra il 2003 e il 2007 era scesa da circa 1.800 a circa 1.000 unità lavorative ristrutturando le linee e migliorando i prodotti. Sul piano teorico esiste anche la possibilità di recuperare occupati attraverso nuovi investimenti, come quello relativo al “Parco dei Mestieri”. Vedremo. Quanto alle imprese della val Sinello, dove l’occupazione complessiva aveva raggiunto le 1300-1400 unità, gli effetti sono stati gravi, in quanto il rischio è che quell’area perda addirittura la metà degli occupati. Stabile è il nucleo di Punta Penna, dove invece recenti iniziative industriali nel settore delle energie a biomassa hanno prodotto dissensi e resistenze nella società civile, che giustamente chiede alla politica e alle istituzioni maggiore chiarezza sulle scelte riguardanti un’area a prevalente vocazione turistica e commerciale. C’è infine il dato, decisamente negativo, del settore dell’edilizia e delle attività collegate (inerti, calcestruzzo, prefabbricati, infissi ecc.). E’ un settore che praticamente si è dimezzato negli ultimi 3/4 anni ( da 2000 a 1000 addetti) e che, senza un deciso intervento pubblico per opere relative ai servizi e alle infrastrutture, potrebbe andare incontro ad un 2012 nerissimo. D. Oltre la forte concorrenza e la scarsa regolamentazione del mercato globale, quali sono stati limiti della politica nazionale e regionale riguardo alle problematiche economiche locali? R. In questo nostro contesto, nonostante le difficoltà, licenziamenti forzati non ci sono stati se non nelle aziende sotto i 15 dipendenti. Abbiamo fatto fronte finora alle criticità con la Cassa integrazione ordinaria, straordinaria, con i contratti di solidarietà e con la Cassa in deroga per le aziende che non possono ricorrervi (abbiamo tra i 1.000 e i 1.500 lavoratori all’anno in C.I.). Ci sono aziende, specie medie e piccole, che hanno ridotto la produzione del 30 o del 40% ma che non hanno chiuso. Va peraltro ricordato che le aziende comprese tra le aree industriali del Sangro, del Trigno e del Biferno sono molto legate al settore auto (non solo FIAT, per fortuna), un ambito produttivo in difficoltà in quasi tutto il mondo. Se consideriamo che ci troviamo comunque di fronte ad un attacco al contratto nazionale e ad un arretramento complessivo, anche del mondo del lavoro e della condizione del lavoratore (con la precarietà, i bassi salari ecc.) che non ha precedenti dal II dopoguerra ad oggi, è chiaro che occorreva ed occorre un maggiore impegno politico-istituzionale: perché, nel prossimo 2012 le cose potrebbero peggiorare e senza un lavoro sappiamo che non c’è solo miseria ma anche riduzione della libertà individuale, assenza di speranza e di fiducia nel futuro. D. E il mondo del lavoro, sindacalizzato o meno, come sta affrontando l’attuale fase di crisi? R. Non c’è un buon clima. Poca è l’attenzione alle problematiche della sicurezza sul lavoro (si fa davvero il minimo per tutelare chi lavora), i giovani assunti con contratti a tempo sono a volte brutalmente licenziati. La precarietà è un attacco alle stesse condizioni personali, soggettive. Di fronte alle difficoltà si è inoltre sviluppata una difesa che spesso è individuale più che di categoria o generale. Per questo, anche i sindacati hanno dei problemi a reagire con forza e determinazione, perché le battaglie sindacali devono essere necessariamente condivise e collettive. Non si può utilizzare la crisi per ricattare i lavoratori sul piano dei diritti e della condizione lavorativa. Con le ultime manovre governative noi rischiamo poi un appesantimento della situazione dei lavoratori e delle imprese. Una manovra classista che,con i tagli alle pensioni e ai salari e l’accentuarsi dell’imposizione fiscale penalizza ancora i ceti medio-bassi con risvolti negativi sui consumi ed investimenti. Inoltre dobbiamo tenere conto della difficoltà a ricevere finanziamenti dalle banche e del costo crescente di tali interventi. D. Dunque, in conclusione, quali potrebbero essere le attese e le vostre “ricette” per il futuro”? R. Con la Regione Abruzzo si sta lavorando ad un “Patto per lo sviluppo”, che coinvolge il Governo e il Ministero per lo Sviluppo economico, al fine di ricreare le condizioni di appetibilità per gli investimenti anche nella nostra zona. Ci vuole soprattutto una nuova “politica industriale” che reperisca le risorse e attivi gli investimenti. Ma, in una situazione di grave emergenza, occorrerebbe soprattutto un “Piano per il Lavoro”, un impegno forte, straordinario accompagnato da una nuova normativa che riveda l’apprendistato e la formazione e che affronti con decisione il problema della precarietà. Il lavoratore ha diritto alla stabilizazzione della sua condizione lavorativa. In questo contesto di difficoltà, quello di San Salvo e del basso Vastese può essere considerato un territorio che, aldilà di alcune realtà critiche (CIMA-COSMOS,Orlandi Impianti, Flovetro) , si mantiene produttivo, attestandosi nel complesso su una forza che oscilla nel settore secondario tra le 6.000 e le 7.000 unità lavorative. Dobbiamo perciò salvaguardare le due grandi imprese industriali locali, che hanno un’attività consolidata, e poi cercare di intervenire sulle medie e piccole imprese, che vanno rilanciate. Per la val Sinello, ormai “area di crisi”, si tratta di intervenire in maniera diversa, magari veicolando qui, ad esempio, quegli investimenti che appesantirebbero l’area di Punta Penna. Occorre anche perseguire una maggiore integrazione tra i diversi settori produttivi, perché una città, un comprensorio affrontano meglio una crisi di questa portata se dispongono di un apparato produttivo complesso e diversificato.
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