Tornano "I racconti del Conte" (leggi), brevi racconti dal lungo respiro, che hanno la capacità di farci immergere per pochi secondi in altri scenari, donando quella boccata d'aria che solo la letteratura sa dare.
Oggi non è ancora arrivata. Di solito arriva nel primo pomeriggio ma non so a che ora va via. In questo albergo ci siamo solo io e lei. Qui si viene a sciare. Ora, in estate, ci si viene per concentrarsi su qualcosa, o per scappare da qualcosa. Anche il personale è ridotto all’osso.
Quando vidi questo luogo, l’inverno scorso, mi fu subito chiaro il progetto. L’albergo ha una forma a semicerchio che sembra abbracciare la montagna. Per quanto mi riguarda l’accordo era chiaro e conteneva due richieste fondamentali: colazione, pranzo e cena in camera e cambiare una camera al giorno. Hanno accettato di malavoglia non prima di avermi chiesto, garbatamente, quale fosse il motivo.
– Devo cambiare una camera al giorno per cogliere tutte le sfumature della montagna.- Risposi.
Ed ora sono qui. La guardo dalla finestra e la fermo coi pennelli e mi sposto. Non è semplice spiegare come tutto cambi spostandosi solo di qualche metro o di piano in piano. Da ogni finestra uno spicchio diverso. Seguo uno schema preciso che contempla diverse variabili che non rivelo a nessuno e che forse non esistono. Mi limito a comunicare al receptionist il numero della stanza che occuperò l’indomani.
Non riesco a lavorare all’aperto. Troppa natura, troppo non-rumore. Ma c’è dell’altro. I quadri, sono sempre esposti in spazi chiusi e dipingerli all’aperto lo trovo incoerente, pretenzioso. Il mio metodo, per i paesaggi, consiste nel confrontarmi fisicamente con la natura che ritraggo. Faccio lunghe passeggiate nella zona che sto ritraendo (ho nuotato mentre lavoravo su paesaggi marittimi).
Mi nutro di suoni, colori ed ossigeno. A volte scelgo dalla montagna la prossima camera, come se il soggetto m’indicasse la prospettiva migliore in un gioco in cui si confondono fermo e mobile, osservato ed osservatore.
Quando sono sazio torno dentro e riverso le suggestioni sulla tela. Ed a questo punto, di solito verso le 3 del pomeriggio, la incontro. Ormai è più di un mese che la vedo ogni giorno qui ed a quest’ora. Si siede sulla stessa panca nell’atrio e prende il sole che entra dai vetri. Anche lei preferirà stare dentro. Avrà una trentina d’anni, è bellissima, ci salutiamo a malapena senza parlare. Non ci diamo del tu, non ci diamo del lei. Non ci diamo niente, forse.
“Chissà se scappa o se ha un progetto” e sono già al lavoro: che forma strana ha quella nuvola!
Torno al mio soggetto. Spesso penso che il mio metodo sia simile a quello dello scultore. Pone il blocco di pietra al centro dello spazio, inizia a camminarci intorno, inizia a sgrossare. O come quando affronti un argomento; lo poni al centro, provi a guardarlo da più punti di vista, inizi a togliere quello che non (ti) serve.
Per me questa è l’essenza stessa della vita: girarci intorno.
Avvicinarsi, allontanarsi ed ogni tanto un colpo di scalpello, o una pennellata, o una parola.
Ma ora il mio lavoro qui, in questo abbraccio, è quasi finito. Domani tornerò al mio posto, nel posto in cui vivo, nella realtà.
Una cosa è certa, la montagna mi mancherà ma soprattutto, mi mancherà lei.
Ed è un nuovo giorno. Esco per l’ultima passeggiata dentro le viscere del mio soggetto. Nell’atrio, sulla panca dove si siederà tra qualche ora, trovo un biglietto.
“Il mio nome non importa.
So che domani non ci sarai al contrario di me che mi sono scelta quest’esilio. Ho deciso di rispondere a qualcuna delle domande che non mi hai fatto. Penso di aver applicato nella mia vita tutte le scorciatoie possibili osservando e favorendo le dinamiche in cui sono stata coinvolta. Ora invece guardo il mondo da questa angolazione, con pigrizia. “Ciò che deve accadere, accade” come dice il poeta. Ed ora la tua ombra assomiglia alla mia.”
Prendo la penna, giro il foglio e scrivo.
“Non ci sarò domani e neanche oggi. Ho deciso di partire appena finito di leggere. Una sfera delle mie sensazioni non mi appartiene più da quando ti ho incontrato. Tu ne sei il motivo e ne sarai la custode. Troppo? Troppo poco? Soprattutto ora, non lo so.”
Rimetto il foglio dove l’ho trovato, dov’era, dov’era lei.
Esco, carico l’auto, parto. Mentre guido penso ad un albergo che abbraccia una montagna ed a uno scultore che gira intorno ad un masso.