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Gianni, infermiere di pronto soccorso per passione

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Almeno una volta nella vita, tutti o quasi siamo entrati in un Pronto soccorso, un microcosmo a sé rispetto all'ospedale. Come in ogni luogo di lavoro la differenza sulla qualità del servizio la fa la persona. Uno dei tanti che lavora in questa sorta di "trincea" e quando lo incontri hai subito l'impressione che è uno che, come si suol dire, "sa il fatto suo", è Giammichele Gianni, infermiere professionale sansalvese del Pronto Soccorso.

Perché è diventato un infermiere?

Un pò per caso. Dopo il diploma dell'Istituto Professionale, due anni di università, il servizio di leva e i primi lavoretti, mio padre mi disse "perchè non fai Il corso da infermieri?". Io mi dissi "perchè no?". Tentai il test d'ingresso e se lo superai brillantemente. Il primo giorno di tirocinio avevo tanta ansia e tanti timori perché era per me un mondo completamente sconosciuto. Trascorso il primo mese, capii che quel lavoro era quello che volevo fare e per il quale mi sentivo davvero portato. Mi appassionai all'avere a che fare con i pazienti e al prendermi cura di loro nella consapevolezza che dal mio lavoro poteva dipendere la vita o la morte degli stessi.

Finito il percorso di studi ha subito cominciato a lavorare come infermiere?

No. Subito dopo il titolo conclusivo sono entrato a lavorare a tempo indeterminato alla Denso qui a San Salvo. Qui ho rincontrato anche colei che avevo conosciuta al corso di infermiera e che poi è diventata mia moglie, la donna della mia vita Giuliana. Nonostante mi fossi distinto e riuscito a conquistare la stima dei miei superiori, sentivo che quel lavoro non era quello giusto per me. E così appena uscì il concorso da infermieri (tre anni dopo) lo tentai. Mi classificai 64° su 15.000 aspiranti infermieri di ruolo! Appena mi chiamarono mi licenziai dalla Denso e il primo incarico lo ebbi al reparto di lungodegenza dell'ospedale di Casoli. Dopo tre anni non fu facile ricominciare, avevo perso la manualità e capitava spesso che mi ritrovavo a gestire da solo l'intero reparto. Ma la passione per questo lavoro era più grande e nel giro di breve superai quel periodo di impasse. Dopo un anno ebbi l'occasione di avvicinarmi grazie a "uno scambio alla pari" con una infermiera di Bomba che si voleva avvicinare a casa. Dopo un anno al reparto di medicina chiesi di essere trasferito al Pronto soccorso.

Perchè il Pronto Soccorso?

Il Pronto Soccorso o lo ami o lo odi. Lavori costantemente con l'adrenalina addosso. Mentre nei reparti una buona fetta delle nostre mansioni è ben cadenzata, nel Pronto Soccorso questo non esiste. E' tutto più dinamico, non sai mai cosa ti aspetta. Anche il semplice triage, ossia la prima accoglienza ha un ruolo fondamentale perchè in base alla ricognizione della gravità del paziente può dipendere la sua vita.

La morte dei suoi pazienti la segna?

Non ci possiamo fare carico del lutto dei familiari altrimenti dobbiamo per forza di cose smettere di fare questo lavoro. Ma quando muore un bambino o una persona giovane mi fa star male e quando torno a casa non mi si può dire niente.

Per lei cos'è la cosa più importante per fare bene questo lavoro?

Formarsi e prepararsi in continuazione. La prima volta che sono salito sull'autoambulanza del 118 mi ha segnato profondamente e da quel giorno che ciò che era successo non sarebbe dovuto più succedere e quindi cerco sempre di non abbassare mai la guardia ed essere molto professionale. Una cosa che spesso dico anche ai medici è di informare adeguatamente i pazienti e i loro familiari soprattutto quando il caso è grave.

La sua soddisfazione più grande a fine giornata?

L'aver dato il meglio di me e il sapere che quando è stato necessario ho contribuito a salvare una vita umana. Ricevere e percepire quel grazie detto con un quel profondo senso di gratitudine per aver fatto bene il mio lavoro mi riempie il cuore di gioia.

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