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Quel sorriso di Roberto aperto a tutti…

“Celeste corrispondenza d’amorosi sensi” con la terra natia, San Salvo

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Nella Giostra della Memoria, museo di San Salvo, e precisamente nella stanza delle bambole, seduta su una cassapanca dell’Ottocento, tra le altre, primeggia Laura, la più bella, con gli occhi mobili, il vestito di velluto celeste e, se la si prende in braccio dice “mammà”.

Era destinata, come si usava una volta ad essere posata sul letto, al mezzo di quelle belle e ricamate coperte di raso.

Mi è stata regalata dal compare Roberto. Allora avevo sei anni. Mi sentivo orgogliosamente felice, perché, a quei tempi, pochissime bambine ricevevano un dono così bello ed importante.

Quel ricordo è diventato, ora che lui è in Paradiso, un elemento di collegamento tra il cielo e la terra e, come Foscolo ci insegna nei suoi versi dei Sepolcri, costituisce una vera e propria “celeste corrispondenza d’amorosi sensi…” di ricordi della mia infanzia e della di essa felicità.

L’immagine di Roberto rimane indelebile nella mia mente, gentile, affettuoso, risplendente, bello, ordinato ed elegante; impeccabile nella sua rigorosa divisa di Sottufficiale della Guardia di Finanza, Roberto Di Iorio non passava inosservato e tutti lo salutavano con molto rispetto e lui s’intratteneva volentieri e umilmente con i suoi paesani, pur rimanendo nel rigoroso e affettuoso atteggiamento che lo rendeva un vero signore, nobile di animo e integerrimo di professione.

Il suo sorriso, poi, era e rimane una indimenticabile icona, capace di trasmettere per sempre messaggi di bontà, di compostezza, di generosità, ma soprattutto di rara serenità.

La sua ponderata saggezza, che pilotava ogni sua azione e decisione, assomigliava molto all’antico “modus vivendi” di compare Giovanni, il suo caro papà, uomo di caratura forte e gentile come la sua terra d’Abruzzo, da cui non si è mai allontanato e da cui aveva ereditato anche la trasparenza etica oggi giudicata anacronistica.

Quando tornava da Brescia e dalle altre lontane città, il suo cuore batteva forte nel rivedere la sua casa, che spiccava e padroneggiava in via San Giuseppe dove, negli anni Cinquanta, si distingueva dalle altre abitazioni piccole variegate fuori e dentro da stalle e stallette che, contrapponendosi ad essa, sembravano, timidamente, assemblate ed appoggiate con una metaforica sicurezza.

Nel palazzo Di Iorio regnava l’accordato e musicale “facere” di commara Laura, la cui laboriosità e l’impeccabile ordine caratterizzavano l’ambiente di un interminabile e cadenzato andirivieni e saliscendi di faccende domestiche, di ricami e di preparazione culinaria prelibata e indimenticabile, specialmente quando le sorelle Maria e Teresa aspettavano il ritorno del principesco fratello e anticipando ogni accurato preparativo, riservavano a lui le genuine prelibatezze procurate dallo zelo paterno ed allestite e cucinate dalle loro mani.

Abitava in Corso Garibaldi nel palazzo Artese, ora restaurato, la Signorina Maria Artese; di altrettanta distinta famiglia sansalvese ha dato inizio, per Roberto, ad una storia costituita da un amore solido e consistente di un tandem perfetto di etica complicità ed invidiabile armonia, sorretto da pilastri solidi, che non hanno temuto nessuna intemperia neppure negli spostamenti geografici anconetani e romani e hanno custodito quotidianamente i due tesori della loro esistenza: Giovanni e Laura, seguiti passo passo lungo un percorso in crescendo per soddisfazione immensa e tappe raggiunte a pieni voti e traguardi a tutto tondo e a lungo raggio.

Possa continuare a sorridere Roberto Di Iorio e a regalarci i doni che fanno di ogni nostra quotidianità un giorno di festa.

 

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