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La Parola di Dio è un tesoro inestinguibile carico di vita

Commento al vangelo

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La Parola di Dio è un tesoro inestinguibile carico di vita, in cui come in un microcosmo tutte le nostre vite si illuminano e si rendono presenti. La pagina evangelica di oggi contiene dei particolari che, se non fossimo ascoltatori distratti e abituati, ci farebbero sobbalzare sul banco della chiesa. In primis Gesù costringe letteralmente i suoi a salire sulla barca; siamo nel tardo pomeriggio, quasi sera, e ogni esperto pescatore sa che a quell’ora non si esce, soprattutto sul mar di Galilea, un lago soggetto spesso a mareggiate di grande intensità. Gesù butta i suoi discepoli nelle loro paure più grandi. Nel frattempo lui va a pregare, solo, sul monte.

Il secondo elemento sconvolgente è il ritardo dell’intervento di Gesù: “alla fine della notte”! Gesù non solo lascia i suoi nella tempesta, ma li lascia fino a sera tardi. Proviamo a immaginare la situazione e capiremo di quale terrore si è impadronito il cuore dei discepoli. Proviamo a questo punto ad immaginare le nostre paure, ciascuno le proprie. Quando entriamo nel cuore di ciò che ci terrorizza, e lì infondo che scorgiamo l’avvento di qualcosa di diverso, di nuovo: Gesù. Gesù arriva sulle acque (che per Israele è un simbolo del male, del caos e Gesù, camminandovi sopra esprime e manifesta la sua signoria su di esso) ma viene scambiato per un fantasma!

Il male, il vento impetuoso che provoca la tempesta e può essere causa di morte, sembra più forte e concreto di Gesù che viene! E Gesù ancora una volta dice ai suoi quel ritornello di cui la Scrittura è piena “Coraggio, sono io, non temete!”. Ma l’uomo, si sa, ha bisogno di prove, di fatti concreti. Ed è Pietro a fare il primo passo con quella frase che sa di tentazione: “Signore, se sei tu…”. Pietro vuole schiacciare il male proprio come fa Gesù; ma come rileva Agostino, Pietro cammina con le sue forze e non nella potenza di Gesù.

E infatti uno sguardo in più al vento che impetuoso ingrossa le onde e Pietro inizia a scendere tra le acque. Nella debolezza di Pietro si manifesta la potenza di Gesù, che per mano ci trae sulla barca della Chiesa, la comunità dei “ripescati”. L’esperienza di fede manifesta a chi la vive la propria debolezza, l’inconsistenza di chi conta (anche se inconsciamente) solo sulle proprie forze: è la categoria dei “poveri di fede”, come Gesù li apostrofa. Eppure, secondo la logica evangelica, nella debolezza si manifesta la forza e il volto di Dio, come si evince dall’esperienza mistica di Elia narrata nella prima lettura. In un mondo che privilegia i forti, coloro che non piangono mai, che non implorano mai aiuto per non apparire deboli, il vangelo di questa domenica ci insegna una delle più belle preghiere per il cristiano: “Signore, salvami”.

È la preghiera di chi non si vergogna di chiedere aiuto; di chi, come i tre apostoli nell’esperienza della trasfigurazione di domenica scorsa, alzando gli occhi non vedono altro che Gesù, l’unico che può trarci fuori dai marosi mortali che non devono e non possono avere l’ultima parola.

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