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Dio non è lontano, ma è qui, vicino, prossimo alla nostra vita quotidiana!

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Il vangelo di questa domenica si apre con il tragico annunzio dell’arresto di Giovanni. Il precursore, che attorno a se aveva radunato folle imponenti e discepoli speranzosi, ha terminato il suo compito di “voce”.

È ora che il Verbo si faccia sentire. Gesù abbandona la casa natale e si reca ai confini di Israele, in Galilea. L’annuncio di Gesù è secco, stringente, senza addolcimenti o postille: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Il tema del tempo richiama la prima lettura; Giona si trova costretto a predicare ai Niniviti un tempo che invece sta scadendo: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». Il tempo non è infinito o ciclico ma possiede una direzione ben precisa; è tempo di prendere una decisione, è tempo di vivere la pienezza, la fecondità completa del tempo che diventa propizio, compiuto, “pieno di Dio”.

Il Regno è vicino, ossia più letteralmente: il Regno si è fatto prossimo, vicino! Il regno non è un nuovo sistema politico, all’avanguardia ma pur sempre fallibile; qui il Regno che si è fatto vicino è Dio presente in Gesù in tutta la pienezza della sua divinità. È dunque il tempo di allungare la mano e di toccare il Signore che si fa presente in Gesù. Ma per fare questo è necessario convertirsi e credere nel Vangelo.

Non convertirsi a una nuova idea, né scegliere un sistema al posto di un altro; la conversione che Gesù richiede è un cambio di mentalità (metanoeite): Dio non è lontano, ma è qui, vicino, prossimo alla nostra vita quotidiana. L’immagine plastica di queste tre frasi è la chiamata dei primi 4 discepoli. Gesù cammina sulle rive del mare di Galilea e trova i quattro pescatori che hanno a che fare con il loro lavoro quotidiano: gettare e riparare reti – sono infatti pescatori. È Gesù ad andare da loro, non viceversa.

L’unica promessa che fa loro è quella di essere pescatori di uomini; ma come! Quando il pescatore getta le reti, egli intrappola il pesce e lo tira fuori dall’acqua, lo uccide. Che cosa significa dunque essere pescatori di uomini? Non forse tirare fuori dall’acqua, che in Israele è simbolo della morte e della vittoria pasquale, gli uomini che, frequentemente, sono impigliati nelle reti in cui si sono gettati o che per l’ennesima volta stanno riparando?

Il Vangelo che l’uomo convertito accoglie nel tempo presente è dunque una buona notizia, la vera buona notizia di una liberazione imminente, a portata di mano. Oggi come ieri, la vera liberazione è andare dietro a Gesù; alla staticità delle reti Gesù propone il dinamismo della sua sequela. Ecco il vero cambiamento di mentalità: rimanere pescatori, ma non per dare la morte ma per donare la vita, quella Vita che prima di tutto stiamo e cerchiamo di seguire nella pienezza del nostro tempo.

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