Ogni anno a San Salvo, precisamente la sera del 20 dicembre, si usa accendere un grande falò nel piazzale antistante la Chiesa intitolata a San Giuseppe.
Si racconta che una commissione di notabili sansalvesi, la sera del 20 dicembre 1745, si recò a Roma per prelevare le insigni reliquie di San Vitale martire, dono del Cardinale Pier Luigi Carafa, da cui questa comunità ecclesiale, per Bolla Pontificia del Papa Clemente IV, era giurisdizionalmente, diretta e amministrata.
Uno dei componenti del gruppo degli addetti all’onorevole incarico di trasporto, arrivò improvvisamente in paese, con un veloce destriero, recando la lieta notizia che la Sacra reliquia si trovava a poche miglia da San Salvo. La sera del 20 dicembre, prima di mezzanotte, l’urna collocata su un carro adorno di arazzi, vistosamente drappeggiato e trainato da tre pariglie di focosi e maestosi cavalli neri, fece l’ingresso trionfale nella piazza illuminata da un grande falò.
La campane furono immediatamente azionate e il popolo si radunò avanti alla chiesa, nell’ attesa del prezioso e desiderato arrivo dell’ urna consacrata.
L’urna fu accolta da un tripudio di ovazioni e di inni sacri, dal fragore di mortaretti, castagnole, bengala, petardi, e da una luminaria di razzi e piogge di fuoco che costellarono il cielo dei più smaglianti colori. “Trasportata in chiesa dalle maggiori autorità civili, militari” - è scritto nel libro di don Cirillo Piovesan “La Città di San Salvo” - fu collocata sul nuovo altare dedicato al Santo, mentre da “mille voci festanti” prorompeva imponente e festoso nella navata gremita fino all’inverosimile, il canto del “Te Deum”. Il vicario impartì la prima solenne benedizione. Nevicava. Il freddo penetrava nelle ossa. Si pensò di accendere un grande fuoco. I festeggiamenti proseguirono fino al mattino. Il falò si spense all’alba".
San Vitale venne eletto, protettore di San Salvo nella giornata che la chiesa dedica all’apostolo San Tommaso. L’accensione del falò si ripeterà, infatti, la sera del 20 dicembre (festa di San Tommaso). Appena i carboni saranno ardenti, non “mancheranno” i vari gruppi di amici" armati di grosse graticole, pane casareccio, corolle di salsicce piccanti, bottiglioni di vino rosso. Ecco la parte finale di una vecchia poesia dialettale: " E fìne a tàrda sére si candàve canzùne, e si parlàve di le fàtte brùtte e bbelle. ( Fino alle luci del mattino si ballava e si raccontavano storie belle e brutte).