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La tradizione del maiale a San Salvo

«Uij ting da fà lu porci» (Oggi devo fare il maiale)

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In questi giorni spesso si sente pronunciare questa frase così 'sgrammaticata' (il maiale ovviamente non si fa) ma tipicamente sansalvese per dire che si è impegnati in un lavoro molto laborioso: la preparazione degli insaccati di suino.

Oggi la maggior parte delle famiglie, che continua questa tradizione, compra la carne del maiale già macellata. Una volta, invece, ogni famiglia allevava uno o più maiali cibandoli con fave, granoturco, e la vrenn (l’avena) insaporita nell’acqua bollente che restava dopo la cottura della pasta.

Tra dicembre e febbraio (periodo in cui le rigide temperature raffreddano e asciugano più velocemente la carne) si ammazzava l’animale e per il fatto che occorrevano forza e braccia, diventava un occasione per stare insieme con amici, vicini e parenti. Era una vera festa anche per i bambini che respiravano più di ogni altra cosa la bellezza del condividere, dello stare insieme e dell’amore che ne scaturiva durante questo evento (nulla a che fare con le amicizie di Facebook, Twitter e via di seguito).

Prima di ogni cosa, di buon mattino, all’esterno si metteva a bollire l’acqua nei grossi bollitori di rame sui tre piedi con sotto il fuoco. Quando l’acqua stava per bollire più persone (almeno tre uomini) facevano uscire il maiale dalla stalla, lo ponevano di forza su un tavolaccio e poi l’addetto lo ammazzava. L’acqua bollente serviva quindi per lavarlo e per rimuovere più facilmente le setole.
Compiuta questa prima pulizia esterna, il maiale veniva appeso per le zampe posteriori a una trave, aperto a metà dalla parte del ventre, in senso longitudinale, e poi si procedeva all’asportazione delle visceri. Sempre l’addetto procedeva al taglio e alla selezione della carne. Uno dei pezzi più prelibati (come ad esempio il capocollo) veniva portato al medico del paese e/o altre persone di rilievo.

Alcuni decenni fa non esistevano i frigoriferi né tanto meno i supermercati e l’uccisione del maiale costituiva un modo per avere la provvista di carne e dei suoi derivati per tutto l’anno. Non si buttava niente. Il sangue veniva recuperato per preparare lu sangunacci che a detta degli antichi era una vera prelibatezza dolce. Oppure più semplicemente veniva bollito e poi soffritto con aglio e peperoni essiccati. Il grasso veniva utilizzato per fare il sapone di casa. Le budella, dopo essere state accuratamente svuotate, rivoltate e lavate più volte in acqua tiepida, disinfettate con aceto e sale, venivano lasciati in ammollo con acqua e aceto sino alla loro utilizzazione come 'contenitori' dei salumi. La sugna del maiale veniva fatta a pezzi e poi fatta sciogliere sul fuoco gradatamente: si otteneva un olio che poi si solidificava una volta raffreddato (lo strutto); questo serviva per ungere i salumi una volta asciutti ed evitare un eccessiva essiccazione. I residui costituivano gli sfrigoli che venivano conservati in barattoli di vetro e ci si faceva la pizza.

A fine giornata si assaggiava il maiale tutti insieme e si cucinava o la carne cucinata sulla brace dei camini o il tradizionale cif e ciaf: le spuntature e il guanciale di maiale fatti a pezzi e soffritti con olio d’oliva nella fssor (grosso tegame nero di ferro).

Il giorno seguente si procedeva quindi con il taglio della carne. Le salsicce e i salamini veniva ottenuti tramite l’apposita macchina per il taglio e per il riempimento dei salumi. Mentre il fegato e la carne necessaria per fare le ventricine venivano tagliati a mano con il coltello. I pezzetti di carne destinati per le salsicce venivano conditi (o meglio accuratamente amalgamati) con sale fino e polvere di peperone rosso. Durante l’estate i peperoni cornetti venivano incrollati e fatti essiccare e prima dell’uccisione del maiale questi peperoni venivano infornati per togliere ogni residuo di acqua: dopo la cottura dal contatto dell’uno con l’altro ne doveva risultare un tintinnio. Quando questi peperoni si intiepidivano venivano ridotti a polvere sottile, grazie a grossi mortai di legno. Lo stesso procedimento veniva attuato anche per ottenere la polvere di peperoncino, lu lazzarett. Nella salsicce di fegato oltre al sale e alla polvere di peperone si aggiungeva un trito sottilissimo di aglio, buccia d’arancia e semi di finocchio selvatico. Per le ventricine occorreva sale grosso, polvere di peperone rosso e peperoncino e semi di finocchio selvatico. Per i salumi a pasta bianca veniva utilizzato invece pepe bianco o nero e sale.

Le carni tagliate e condite di spezie venivato riposti in  grossi contenitori svasati di latta (nzalaten) o di terra cotta smaltati, o di porcellana per due massimo tre giorni e per impedire che vi andassero insetti li si cospargeva abbondantemente con polvere di peperone e un po’ di peperoncino. Si procedeva dunque con l’ottenimento dei vari insaccati che venivano appesi nelle apposite aste fissate sul soffitto del perimetro della stanza dove stava il camino per favorirne l’asciugatura.

Durante questa intensa settimana molte erano le tavolate animate da allegri chiacchiericci.

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