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'A Michele Mastrippolito', il saluto dell'amico Domenico Di Stefano

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Conosco Mike da quando eravamo bambini. Siamo stati compagni di banco alle scuole medie, sezione M, e poi, per tanto tempo, compagni di squadra e anche avversari - amici sui campi di calcio. Lui giocava in difesa, io a centrocampo, io ero lezioso e impaurito, lui concreto e forte, soprattutto a colpire di testa. L’esatto contrario eravamo fuori dal rettangolo di gioco: io sempre pieno di idee e iniziative, lui timido e con un carattere dolce e pacato (tranne quando perdeva le staffe e allora bisognava girare alla larga…). Ci siamo visti (con annesse famiglie al seguito) l’ultima volta ad un comizio di metà maggio, mi ha rivolto un affettuoso e sorridente in bocca al lupo. Se avessi potuto leggere il destino, quell’ “in bocca al lupo” toccava più a lui. A scuola, in classe, ci chiamavamo tutti con nomignoli e “soprannomi”, frutto di goliardica stupidità e tenerezza: a Mike,  per via della prima parte del suo cognome, gli avevamo affibbiato il nomignolo di “ Mastro Geppetto” poi per accorciare solo “Geppetto”;  non ricordo di chi fu l’idea ma rammento che anche lui si faceva un sacco di risate. D’altronde ognuno di noi, all’epoca, era impegnato a costruire un’identità, a frequentare un’età, una stagione della vita che adesso è coriandoli e nostalgia. Anche quando le nostre strade avevano perso il quotidiano, non abbiamo mai smesso di tenerci in contatto e di riavvolgere il nastro dei ricordi e dei bei tempi dell’infanzia e dell’adolescenza. Mike era un grande sportivo e si era appassionato alla palestra. Ricordo, per un periodo, che vantava le qualità dello spinning e mi invitava a dare seguito al suo invito. Lui era un maestro in questo, instancabile. Io gli promettevo che la cosa era in agenda, ma non ho mai mantenuto la promessa, per pigrizia e perché a volte il tempo ti schiaccia fino all’inverosimile. Poi pero accade che il tempo non ti schiaccia più, ti gira le spalle e se ne va, e l’agenda rimane in balia del vento, con tante pagine vuote ancora da appuntare. Rimangono foto sfuocate, in bianco e nero, di tutto e il contrario di tutto. Restano, soprattutto, le troppe lacrime di madri e padri, di spose e figli, di occhi anonimi. Restano abbracci muti, forti, veri. A Katia, a Flavio, a Teresa, Mario, Claudia… Morire di lavoro fa schifo. Con tutta la retorica possibile, ma fa schifo. Lo penso proprio su questa bicicletta che costeggia spiaggia e dolore, affogando nel mare la mia triste pedalata. Mentre  “Geppetto”, ne sono sicuro, si sta divertendo come un matto a fare spinning in Paradiso…


Arrivederci Mike.

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