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La notte dello 'sballo' di Dio, il racconto dell'esperienza di Ines Montanaro

Un incontro nel cuore dell'infinito

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Dedicato a quanti desiderano varcare la soglia del mistero, quella 'stanza chiusa' che ci abita e dalla quale vorremmo uscire per respirare - anche per un istante - l’ebbrezza dell’Infinito.

L’ho visto di giorno in quella meravigliosa cornice di Capo Testa, nei pressi di Santa Teresa di Gallura, dove due mari s’incontrano spruzzandosi a vicenda con le onde su una piccola strada, il vento suona le rocce scavate... dal vento, il mare si tuffa sulla terra per esaltarne gli aromi: è il faro.

Qui, nella estrema punta settentrionale della Sardegna questo faro - costruito dai piemontesi - è un importante punto geografico prima ancora che un aiuto alle navi. La sua luce aiuta da centinaia di anni i naviganti a non naufragare tra le scogliere di una costa che non ha spazi di sabbia.
Il faro vede i naviganti, e i naviganti vedono il faro. L’uno cerca l’altro, non è un semplice aiuto, ma un abbraccio a lunghissima gittata. La luce fende le acque che di giorno sono di smeraldo e turchese, ma la notte sono nere come la pece.

Di notte poi, le rocce diventano creature fantastiche: gnomi, elfi, dinosauri, fauni danzanti e mostri marini. È uno spettacolo meraviglioso e terribile. Si può morire di paura in una notte così o si può sfiorare il cuore del mistero di Dio.
Un faro di notte è irresistibile per chi cerca qualcosa... Qualcuno.

Dovevo vederlo illuminato, ma come fare, mio Dio come fare, con tre adulti e un bambino pronti a fermare la 'follia' con ogni minaccia o, al limite, accompagnarti?
Come spiegare che il 'pericolo' erano loro, che il faro è amico. Come?

No, dovevo andare e andare sola, Marilena (la padrona dell’Hotel Bocche di Bonifacio) è figlia di un lanternista ed è nata e cresciuta in 'quel faro' e mi ha raccontato quanto basta per andare da sola. È stata, senza volere, la mia 'mappa vivente'.
Ella mi ha detto che verso le sette il guardiano accende il potente raggio e torna a dormire nella sua casa in paese. La manutenzione la si fa di giorno e, di notte, la lanterna gira sola ormai da tanti anni.

Una sera, qualcuno propone la pizza al paese, la proposta 'accende il faro del mio progetto'.
«Andate, andate pure tutti insieme, io me ne sto tranquilla in camera a leggere, sapete tutti che mangio pochissimo, resto qui, ho uno yogurt una mela... tutto. Non insistete vi prego andate e tornate quando volete!».

Mi fermo guardinga alla finestra per vedere l’auto allontanarsi completamente. Meno male che nessuno ha insistito: sono pronta, mi infilo le scarpe più robuste e, come bagaglio a mano, prendo solo la macchina fotografica giusto per dire a me stessa un giorno: «non l’ho sognato».

Decido di non avvantaggiarmi neanche del cellulare, vado dunque disarmata. Se prendevo con me mezzi tecnologici per chiedere aiuto è segno che la mia fede nel Dio degli sciagurati era nulla.
M’incammino, so che è vicino - meno di due km - ho guardato sul contachilometri della macchina in mattinata.
La strada è deserta, vedo solo qualche auto sulla strada di Baia Santa Reparata, ma è lontana per vedermi. Tutti sono lontani, solo Dio è vicino. Lo sento nel battito del mio cuore nel mio respiro affannato, nel mio passo che potrebbe essere più veloce, ma non forzo.

Se vado a passo normale e incontro qualcuno attirerò meno l’attenzione. Una persona che cammina tranquilla nel cuore della notte non spaventa e non incentiva aggressioni.
Si, ecco, ho trovato il mio ritmo, il cuore rallenta il battito, il respiro si acquieta e i miei occhi scrutano il buio per cercare di non perdere il sentiero che non dovrebbe essere lontano. Non c’è luna, non ci sono lampioni, c’è solo il rumore del mare e del vento e l’aroma del mirto che vola tra le rocce e la vegetazione selvaggia.

Sono sola con me stessa e sento Dio vicino. Si, il Dio che parlò ad Abramo, questa sera ha detto anche a me: «lascia la tua “terra” e va dove ti mostrerò».
Non dovrei essere lontana perché sul mare inizio a vedere i primi bagliori che si muovono in senso circolare. Una curva ancora e... eccolo!

Mio Dio quanto è bello, sembra il castello delle fate o forse dei Templari, la lanterna gira e spande luce, ma la magia è l’edificio in se, un 'tizzone ardente' nel cuore del buio dell’universo.
Devo essere arrivata... in paradiso.

Fremo per l’incanto e la bellezza di quello che vedo e sento: il muggire del mare, il vento impetuoso, la terra profumata: è... la casa di Dio. Mi sento come Giacobbe quando - coricato sulla nuda terra - sognò la scala che dalla terra saliva al cielo e gli angeli che vi salivano e scendevano e come lui mi sento spaurita e con le sue parole ho pregato: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (cfr Gen 28,17).

Scatto qualche foto per poter dire a me stessa un giorno che, la mia 'follia', si è... materializzata in un'immagine. L’estasi mi rapisce: cinque, dieci, quindici minuti... non so!
Torno in albergo con l’impressione che i miei piedi non poggino più per terra.

Gli altri sono ancora in pizzeria. Io ho incontrato il Padre il Figlio e lo Spirito nel Giardino di Eden e loro mi hanno accolta come ospite attesa da tanto.

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