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Ascensione del Signore

Commento al vangelo

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(At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53)

“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”.

Cosa significa questo “si staccò da loro e veniva portato su in cielo”, con cui finisce la presenza fisica, personale e visibile del Signore?

Come può essere contenuto in una festa il momento in cui il Signore se ne va, in cui l'azione della Sua persona finisce ed incomincia la Sua assenza?

Gesù è Colui che precede sempre i suoi discepoli come pastore, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario. Quante volte i discepoli hanno camminato dietro a Lui, sulle strade di Palestina. E ora il viaggio riparte, ogni terra straniera è una casa, Egli precede i suoi su tutte le strade.

Il Signore ascende al cielo, cioè entra nella dimora di Dio, vive con Lui un rapporto di intimità che va oltre ogni nostra comprensione e possibilità.

Il Signore è il creatore di tutte le cose. Questa è la verità mostrata dall'Ascension​e. Per questo non si tratta della festa del Signore che se ne va, ma del Signore che, salendo al Padre, porta con sé la nostra vita, trascina con sé anche noi, entra in Dio e porta anche noi, Suo corpo.

Il distacco di Gesù dai suoi è raccontato da Luca con una sobrietà incantevole. «Gesù condusse i suoi fuori verso Betania»: è colui che precede come pastore, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario. Quante volte i discepoli hanno camminato dietro a Lui, sulle strade di Palestina. E ora il viaggio riparte, ogni terra straniera è patria, Egli precede i suoi su tutte le strade.

Poi all'immagine del pastore si sovrappone un'altra: “e, alzate le mani, li benediceva”. L'ultima immagine che abita gli occhi di chi lo ha visto per tre anni, e non lo vedrà più, è una benedizione. “E, mentre li benediceva, fu portato verso il cielo”. Quella benedizione è il suo testamento ultimo, raggiunge ciascuno di noi e rimane con noi.

L'ultimo messaggio di Gesù per ognuno di noi è questo: l’essere benedetti; c'è del bene in te; questo dobbiamo annunciare. Il Signore ci ha lasciato una benedizione, non un giudizio; non una condanna o un lamento, ma una parola bella, una parola di stima, di gratitudine. Perché si benedice chi ci ha fatto del bene; e io quale bene ho fatto a Dio e agli altri? Forse nessuno o forse qualcosa abbiamo fatto. Eppure, con tutto ciò, Dio ci benedice. Non ne siamo degni, ma ci prendiamo lo stesso questa benedizione, parola di fiducia. Se non vogliamo incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Noi, infatti, con il giudizio ci fermiamo alla superficie, mentre il Dio Padre guarda nel cuore. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Per entrare nella sua dimora (salire al cielo), Gesù ci chiede di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi. Di questo dobbiamo essere testimoni.

Amen.

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