Arriva il momento per l’attore di andare in scena, finalmente, dopo tante prove; salire sul palco è la prova più temuta, ma anche una profonda liberazione dalle tante domande che si affacciano nella propria mente: ce la farò? Sarò all’altezza? Saprò trasmettere bene ciò che ho interiorizzato? È questa la situazione dei discepoli di Gesù.
Il tirocinio è stato lungo e non privo di colpi di scena: misericordia, croce, miracoli, guarigioni, e sopra tutti lui, Gesù, tanto vicino quanto apparentemente lontano. Oggi arriva il banco di prova. Gesù sembra alzare gli occhi sul mondo e immaginarlo come un enorme campo di grano che aspetta di essere colto e lavorato: “la messe è molta!”. Sembra quasi un’affermazione densa di ammirazione quella di Gesù: il mondo è colmo di grazie che aspettano di essere colte da chi torna ad avere occhi di bambini.
Servono operai, pronti ad annunciare alle messi che c’è qualcuno disposto a coglierle, che c’è un regno, ossia un nuovo modo di vivere la vita, un regno di Dio, che attende solo che qualcuno lo annunci e vi dia l’assenso. Gli operai vengono inviati in coppia: il vangelo non è roba da solitari. È come se Gesù dicesse: il primo vangelo è la vostra fraternità, il vostro saper stare insieme.
Spesso alle chiese non mancano mezzi, ma testimonianze autentiche: i cristiani possono (e devono) essere rimproverati soprattutto se non sono ciò che dicono di essere. Solo chi vive la pace può invocare la pace sulle case altrui: la pace non si costruisce bensì si riceve e si dona e, purtroppo, talvolta si rifiuta. La pace, il regno di Dio: non sono che nomi alternativi di Gesù!
Una nota su un’istruzione un po’ bizzarra: non fermatevi a salutare nessuno! Cristiani cafoni? No, grazie! L’antico Oriente conosce riti di saluto molto lunghi e cerimoniosi, che contribuiscono sostanzialmente a far perdere molto tempo a chi ha qualche compito da ottemperare. D’altronde, chi di noi non si è mai giustificato di un suo ritardo a causa di una persona incontrata per strada?
Ecco, l’annuncio del Regno non ammette ritardi, è troppo importante! Il saluto superficiale, la relazione mordi-e-fuggi, toccata e fuga, usa e getta, è quanto di più distante possa esserci dal vangelo. I settantadue non devono conquistare il mondo intero, ma andare casa per casa, allacciare legami, su cui passerà poi Cristo.
Non illudiamoci, cari cristiani: non è una passeggiata. Gesù ai suoi non promette che la missione somigli a una villeggiatura, ma è un viaggio di agnelli tra i lupi. Il missionario (che è l’altro nome autentico di ogni cristiano, dal bimbo appena battezzato al papa) è una che va a morire, sa di farlo, e per alcuni versi lo desidera: noi, come dice Paolo, portiamo il crocifisso, siamo stati crocifissi con Cristo, che è il nostro unico vanto.
La storia delle missioni è uno dei gioielli più preziosi della chiesa: “sanguis martyrum, semen christianorum”, il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani, scriveva Tertulliano nel III secolo. E a te, cristiano del XXI secolo, a che punto sta la fede? Marcisce negli scaffali, nelle piccole devozioni, nei banchi sicuri di una chiesa, o è pronta ad essere sbranata dai lupi per portare finalmente nuovi semi di vita? A te la scelta! Un nome in cielo aspetta di essere scritto: il tuo, il mio.