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False opinioni e calunnie

“Molte persone entrano ed escono dalla tua vita. Ma solo gli amici lasciano un’impronta nel tuo cuore”

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Richiamo spesso alla mente il detto: Le grandi menti discutono di idee; le persone medie discutono dei fatti; le piccole menti (s)parlano delle persone.

Cari amici, la calunnia... la maldicenza... chi non ne ha sofferto? Ma chi, in tutta coscienza, può affermare di non averne mai fatto uso? Il re Davide temeva talmente di peccare per mezzo della sua lingua, che chiese a Dio “di mettere una guardia alla sua bocca, e una sentinella alla sua lingua” (Sal 141,3). E, nella sua sapienza, Dio ha messo la nostra lingua in quella specie di recinto che è la nostra bocca. Ma essa è così pronta a scappare per sputare il suo veleno, che il salmista, per poterla dominare, deve chiedere l’aiuto di Dio. In nome di quale giustizia, di quale carità, ci crediamo autorizzati a giudicare, a calunniare o a sparlare? Supponendo che siamo perfetti (cosa poco probabile, su questa terra), dovremmo sapere che la perfezione comprende l’umiltà, cioè l’indulgenza, il perdono, la preghiera per sostenere i peccatori (di cui facciamo parte), l’aiuto spirituale, e i consigli caritatevoli. San Giacomo non ha avuto paura di affermare che un uomo che non ha peccato con la lingua è un santo. E san Paolo di gridare: “Chi sei tu, per giudicare tuo fratello? Noi compariremo tutti davanti al tribunale di Cristo” (Rom 14,10). Un proverbio libanese dice: “Chi ha una casa di vetro deve evitare di lapidare gli altri”. Un poeta arabo dice: “La tua lingua non dica niente sull’imperfezione di un altro. Tu sei pieno di imperfezioni, e anche gli altri hanno la lingua. È forse perché essa ha operato soltanto per “tutto ciò che è elevato” che la lingua di sant’Antonio di Padova è stata conservata? Mi piace pensarlo. Il solo giudizio severo che siamo abilitati, o piuttosto che abbiamo il dovere di formulare, non deve vertere che su noi stessi. Oh, se potessimo giudicare gli altri con la stessa clemenza che concediamo a noi stessi, il paradiso sarebbe già di questo mondo! 

La calunnia, la disinformazione e la diffamazione sono degli esempi eloquenti di come colpire il prossimo provocandogli gravi ferite. Se la calunnia è la forma più grave di accusa perché genera una menzogna, la disinformazione è una manipolazione della realtà che crea dolore in chi la subisce. Anche la diffamazione, con il suo diffondere malefatte passate o recenti (l’invadenza poi dei mezzi di comunicazione mette tutto subito in piazza con gusto sadico), ha la capacità di indebolire la fama e la dignità di una persona, e per questo è un atteggiamento da evitare. Tutte queste forme di digiuno verbale sono un vero atto penitenziale da compiersi soprattutto in questo anno giubilare: astenersi dal portare fuori dall’abisso del nostro cuore i pensieri di giudizio e le intenzioni malvagie, costituisce una via di santificazione gradita a Dio. La purificazione del cuore non significa solo evitare di esternare con parole i sentimenti di odio, di vendetta e di sopraffazione annidati nella propria anima. La forma di rinnovamento interiore maggiormente efficace è di estrarre il male dalla radice, e questo può avvenire solo nello spazio intimo e segreto della preghiera. Vi affido questa riflessione su “False opinioni e Calunnie” con l’augurio che possa servire a sorvegliare la porta delle labbra.

 Tre anni su tre brutte traduzioni di poemi antichi (Iliade, Odissea, Eneide). Tre anni su Dante. Neanche un minuto sul Vangelo. Non dite che il Vangelo tocca ai preti. Anche levando il problema religioso, restava il libro da studiare in ogni scuola e in ogni classe. Forse chi ha costruito la scuola Gesù l’aveva un po’ in sospetto: troppo amico dei poveri e troppo poco amico della roba (Lorenzo Milani). Un po’ tutti sappiamo quanto tempo abbiamo investito, nella nostra adolescenza e giovinezza, sui classici. Certamente è stato un bene; oggi purtroppo questo spazio “classico” si va sempre più restringendo perché necessitano informatica e inglese, ed è un male, a mio modesto parere. Ma ciò che è ancor più grave è come diceva don Milani: “Neanche un minuto sul Vangelo”. Il Vangelo è, sempre a mio modesto parere, un testo necessario per la cultura di tutti, perché è nell’impronta della nostra storia, come lo è la Bibbia nel suo insieme. Oltretutto sarebbe una spinta di autentica moralità, di giustizia, di verità, di amore in un mondo così amorfo e amorale, stanco e superficiale. Per i credenti, poi, il ritorno alla Parola deve essere una scelta quotidiana perché si ha sempre bisogno di una lampada che illumini i passi e di una parola che “inquieti” e “consoli” la coscienza per non diventare “folla”.

Sì, altrimenti si diventa “folla”, “quella mostruosità molteplice che, presa un pezzo alla volta, sembra uomini, ragionevoli creature di Dio; ma, confusa insieme, fa una sola grande belva, un mostro più tremendo dell’Idra” (Thomas Browne). Credo che quest’osservazione sul singolo e sulla folla non ha bisogno di grande commento. Essa equivale a quel famoso detto latino:Senatores boni viri, senatus mala bestia. Ossia, che presi singolarmente i senatori sono persone brave, ma quando costituiscono tutti insieme il senato, si trasformano in una sorta di bestia indomabile. Ma c’è un altro aspetto che merita attenzione, ossia quello della solitudine che a volte si prova pur vivendo in mezzo alla folla: forse è proprio per questo isolamento che si è tentato di inseguire e praticare comportamenti comuni, creando così la logica del branco. Una logica che si manifesta non solo nelle orribili violenze di cui spesso siamo spettatori, ma anche nella più semplice e passiva adesione alle mode e alle opinioni dominanti. Spesso, infatti, si ha una folla di solitudini che mostra quanto diceva Bacone: La folla non è compagnia e le facce sono soltanto una galleria di quadri”.

Prudenza, dunque, nei giudizi, soprattutto quando si tratta del prossimo. Il breve aneddoto, che vi racconto, si riferisce proprio a questo.  «Un uomo aveva quattro figli. Desiderava che i suoi figli imparassero a non giudicare le persone e le cose troppo in fretta. Per questo, invitò ognuno di loro a fare un viaggio, per osservare bene un albero, che era piantato in un luogo lontano. Il primo figlio andò a vedere l’albero in inverno, il secondo in primavera, il terzo in estate e il quarto in autunno. Quando l'ultimo figlio rientrò, il padre li riunì tutti e quattro, e chiese loro di descrivere quello che avevano visto. Il primo figlio disse che l'albero era brutto, spoglio, storto e piegato. Il secondo figlio disse, invece, che l'albero era ricoperto di gemme verdi. Il terzo figlio era in disaccordo: disse che l’albero era coperto di fiori, che avevano un profumo molto dolce, ed erano così belli, da fargli dire che erano la cosa più bella che avesse mai visto. Il quarto figlio era in disaccordo con gli altri tre. Disse che l'albero era carico di frutti, di vita e di promesse. L'uomo, allora, spiegò ai suoi figli che tutte le risposte erano esatte, perché ognuno di loro aveva visto solo una stagione di vita dell'albero... Il papà aggiunse che non si può giudicare un albero, o una persona, per una sola stagione, e che la loro essenza, il piacere, l'allegria e l'amore, che vengono da quella vita, si possono misurare solo alla fine, quando tutte le stagioni sono complete. “Se rinunci all'inverno” – così finì il buon educatore – “perderai la promessa della primavera, la ricchezza dell'estate, la bellezza dell'autunno... Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo”». Sforziamoci, quindi, di fare così anche noi: quando guardiamo alle persone, lasciamo sempre aperta la porta della speranza! La spina di oggi sarà il fiore di domani.

Papa Francesco, nell’Amoris Laetitia ci ricorda: «La Parola di Dio ci chiede: «Non sparlate gli uni degli altri, fratelli» (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri procurando loro dei danni molto difficili da riparare» (AL,112). Infatti “La calunnia ha un filo più tagliente di una spada, una lingua più velenosa di quella di tutti i serpenti del Nilo, un fiato che cavalca i venti come fossero corrieri e diffonde la menzogna per tutti i quattro punti cardinali del mondo (Shakespeare). Delle calunnie, purtroppo, chi non è tristemente vittima? Mi sembra di costatare un gusto particolare nel diffondere il ricamo raffinato di falsità maliziose. E si conosce anche l’impotenza amara di fronte a calunnie emesse, nei cui confronti si sente l’incapacità di controbattere, perché si è certi di non riuscire mai a essere convincenti.

Ha detto Sha’rani: “I casi di chi diffama sono tre: si crede migliore di loro, e in questo caso è peggiore; si crede loro uguale, e disprezzandoli disprezza se stesso; si crede inferiore, e allora non disprezzi chi è superiore a lui. Tutte le virtù patiscono qualche macchia, meno quella di tenere la lingua a posto, che dev’essere virtù senza macchia. Se la lingua di un uomo è onesta, lo sono tutte le sue opere”.

La diffamazione è un esercizio, purtroppo, sempre più frequente. Il celebre “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”, erroneamente attribuito a Voltaire, ma di origine incerta (il filosofo Bacone aveva scritto: “Calunnia senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”), ha un suo costante e triste valore. “Essi affilano come spada la loro lingua, scagliano come frecce parole velenose per colpire di nascosto l’innocente, lo colpiscono di sorpresa e non hanno timore. Dicono: chi ci potrà vedere? Progettano crimini e li attuano: l’interno dell’uomo e il cuore sono un abisso. Ma Dio li colpirà con le sue frecce, di sorpresa, saranno feriti, li farà cadere su se stessi con la loro stessa lingua” (Sal 64,4-9).

Vedete, “Se seghi un albero, getterà di nuovo, se ferisci una persona con una spada, la ferita guarirà dopo un po’, e se qualcuno ti conficca una freccia nel cuore, puoi estrarla, ma la ferita provocata da una parola non guarisce mai. Non si può annullare l’effetto di quella parola” (Kader Abdolah). Chi non sa che una frase maligna può lasciare tracce che non si cancellano più? Una parola maligna, sembra morta appena detta, infatti, il suo suono subito, si dissolve, ma la sua energia negativa comincia allora a fiorire dando origine a un male che non si estingue. Per questo si dovrebbe come il salmista fare questo proposito: “Veglierò sulla mia condotta, per non peccare con la mia lingua, porrò un freno alla mia bocca” (Sal 39,2).

Come dice Federico Zeri, «“Chi spettegola è sempre un fallito”, un “vorrei ma non posso”, una persona non realizzata, che cerca di realizzarsi parlando male degli altri. Vedi il pettegolezzo delle persone “racchie” contro le belle, delle frustrate contro quelle che hanno successo, degli ometti incapaci di vincere i concorsi contro chi li ha superati, contro chi mette su una bella casa o ha un matrimonio felice. Il pettegolo calunniatore è un individuo che vive spiando gli altri e che dice cose orrende sul loro conto. Ce ne sono moltissimi, soprattutto tra i frustrati e i meschini di scarsa levatura mentale». La cosa è più tremenda se a pettegolare e calunniare sono persone che si dicono cristiani e frequentano la Chiesa: il diavolo, purtroppo, ha molti collaboratori per la sua semina e mietitura.

Stiamo bene attenti, “Non dobbiamo dar retta a quelli che dichiarano: Vox populi vox Dei!, perché la sfrenatezza della folla è sempre molto vicina alla follia (Alcuino di York). Un po’ tutti, almeno una volta, abbiamo usato questo motto latino ricordato da Alcuino, assegnando all’opinione dominante una sorta di sigillo divino. Alcuino, con il motto citato, ci mette in guardia da una deriva cui noi, uomini e donne moderni, siamo ancor più inclini. Un’abile tecnica pubblicitaria o una sottile operazione propagandistica fa diventare ‘vangelo’ la tesi dominante, elaborata spesso per gli interessi più o meno confessabili dai vari centri di potere.

Nasce, così, il consenso di massa che, in una società della comunicazione come la nostra, può estendersi anche ai valori morali che sono plasmati e orientati come è più conveniente. Questo lasciarsi trainare dalla corrente, convinti che sia la strada più vantaggiosa, esonera spesso dalla fatica della critica, della verifica e, se necessario, da un impegnativo andare contro corrente. È sicuramente il caso di menzionare il suggerimento di un grande sapiente, l’imperatore Marco Aurelio che nei suoi ‘Ricordi’ ha lasciato una specie di ‘breviario laico’ spirituale. In quelle pagine si legge: “Quanta tranquillità ottiene chi smette di preoccuparsi di cosa dica, faccia o pensi il suo vicino e si dedica soltanto a ciò che egli stesso fa”. Perciò, meno rispetto umano seguendo l’andazzo comune e più coscienza e autonomia personale.

Ha detto Josepf de Maistre: “Le false opinioni assomigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente, sono poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza sapere quello che fanno”. È capitato, forse, a tutti di aver adottato opinioni e notizie senza vagliarle, di averle anche diffuse per scoprire poi che erano del tutto infondate. È la stessa condizione di certe monete false che circolano nelle mani innocenti delle vittime dei raggiri e che poi, senza rendersi conto, entrano nel circuito degli affari, delle relazioni, dei commerci. Vedete, la falsità esplicita e clamorosa è più facilmente riconoscibile e può essere indicata all’attenzione di tutti, smentita e persino sbeffeggiata. Ma c’è una menzogna più sofisticata, rivestita della parvenza di vero: essa può correre in più direzioni senza che si possa smascherare e lentamente si trasforma in verità, per coloro che non si sottopongono alla fatica della verifica e della critica. L’immagine evangelica dei lupi in vesti di agnello (cfr Mt 7,15) calza a molti inganni contrabbandati come limpide e fondanti certezze. È, allora, necessario una sorta di vaccino costante che risvegli mente e coscienza di fronte a ogni opinione e dottrina perché “niente sembra vero che non possa sembrare falso” (Montagne) e viceversa. Spesso “Le opinioni alle quali teniamo di più sono quelle di cui più difficilmente potremmo rendere conto” (Henri Bergson).

Nel romanzo “Don Camillo” si legge questo dialogo tra don Camillo e Gesù: «“La gente? Cosa significa “la gente”? In Paradiso la gente non entrerà mai perché Dio giudica ciascuno secondo i suoi meriti e le sue colpe e non esistono meriti o colpe di massa. Non esistono i peccati di comitiva, ma solo quelli personali. Non esistono anime collettive. Ognuno nasce e muore per conto proprio e Dio considera gli uomini uno per uno e non gregge per gregge. Guai a chi rinuncia alla sua coscienza personale per partecipare a una coscienza e a una responsabilità collettiva”. Don Camillo abbassò il capo: “Gesù, l’opinione pubblica ha un valore…” “Lo so: fu l’opinione pubblica a inchiodarmi sulla croce”» (G. Guareschi). Leggendo attentamente il Vangelo si capisce che Gesù non si sofferma oltre su ciò che pensa la gente, sa bene che la verità non risiede nei sondaggi d’opinione. Sembra non essere assolutamente toccato da ciò che la gente pensava di Lui.

Le opinioni ai nostri giorni hanno persino dato origine a una figura che è di moda sui giornali e nelle televisioni, l’opinionista. Il più delle volte è un abile confezionatore di luoghi comuni, clonati un po’ da una certa strafottenza che trasforma le opinioni -di loro natura opinabili- in verità acclarate. In realtà, se siamo sinceri, un po’ tutti -come ammoniva il filosofo- ci teniamo strette le nostre opinioni, le difendiamo a spada tratta, anche se spesso non siamo in grado di dimostrarne la fondatezza. Questo vale per tutti i campi, persino per quello religioso: non di rado si trova persone inflessibili nel sostenere tesi ritenute come verità intoccabili, mentre sono solo ipotesi tutte da provare. Anzi, molte volte l’opinione più cara è una bufala e, per la sua leggerezza, viene più agevolmente fatta passare per vera, creando così una catena di inganni. C’è, poi, un altro mostro quasi intoccabile, la cosiddetta “opinione pubblica” che il romanziere Balzac comparava alla “più viziosa delle prostitute” perché essa talvolta non solo domina molti ma anche emargina chi osa contrastarla, quando è palesemente ingannevole e fuorviante. Purtroppo, “Esiste una tendenza molto pericolosa ad accettare tutto ciò che si dice, tutto ciò che si legge, ad accettare senza mettere in discussione. E invece solo chi è pronto a mettere in discussione, a pensare autonomamente, troverà la verità. Per conoscere le correnti del fiume, chi vuole la verità deve entrare nell’acqua (Nisargadatta Maharaj). Un po’ tutti sappiamo che non di rado l’informazione è fabbricata a uso di finalità non sempre confessabili; spesso scopriamo che i dati offerti dai giornali e dai vari mezzi di comunicazione sono approssimativi e talora palesemente falsificati. Eppure lentamente ci lasciamo andare alla deriva e alcuni mezzi particolarmente potenti avvolgono le nostre menti in una rete di luoghi comuni, di convinzioni, di decisioni che sono acriticamente assorbite nella nostra coscienza. Ecco, allora, l’appello del saggio Maharaj a esercitare con vigore la ragione e il giudizio. A me piace particolarmente l’immagine a immergersi nella verità e nella realtà, con una ricerca personale, faticosa come quando ci si deve opporre alle correnti nuotando in senso opposto. La verità non è una pietra preziosa da mettere in uno scrigno o in tasca, è un mare sconfinato in cui ci si deve gettare” (Robert Musil). Bisogna ritrovare, perciò, il gusto della ricerca e dell’interrogazione. La stessa fede non è un’adesione a occhi chiusi e senza pensiero: anche se la scelta ultima è rischio e fiducia, essa suppone una sua coerenza interna e ha una sostanziosa premessa fondata sulla ragione. Credere e comprendere devono insieme procedere.

Spesso succede che “Se i fatti dicono il contrario, allora bisogna alterare i fatti. Così la storia si riscrive di continuo. Questa quotidiana falsificazione del passato, intrapresa e condotta dal Ministero della Verità, è necessaria alla stabilità del regime” (George Orwell-1984). Il “Grande fratellooggi è più conosciuto per quella squallida trasmissione televisiva che come figura, che nel romanzo di Orwell incarnava il potere totalitario onnipresente, i cui ingranaggi stritolavano le libertà individuali e producevano una serie di “verità”, codificate da un ‘Ministero’ che spargeva slogan di questo genere: “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”, “La pace è guerra” e così via. Lascio a te, che spero di essere riuscito a incuriosire, leggere la finale e l’esito di questo libro. Intanto riflettiamo sulla frase citata che non è soltanto praticata dal cosiddetto revisionismo storico, pronto a cambiare i dati retrospettivi della realtà. La verità è che tutti siamo avvolti da una sottile rete di comunicazioni che hanno lo scopo di ridisegnare la realtà, i valori, le scelte così da catturare e orientare anima e cuore delle persone verso sbocchi interessati e talora inconfessabili. Tenere alto il vessillo della consapevolezza, della critica, della coscienza contro le falsificazioni e, allora, necessario, anche se sembra più facile accordarsi alla deriva dei luoghi comuni dominanti. Per questo, riflettere e giudicare, vagliare e meditare sono atti decisivi della libertà.

Attenti, “Il bugiardo guadagna alla fine questo: spesso non viene creduto neppure quando dice la verità” (Esopo). “Chi ha dato vita una volta a un turpe inganno, in seguito non è creduto, anche se dice il vero” (Fedro). Purtroppo, mentire è per molti un esercizio talmente quotidiano da divenire una seconda natura. Si è solito dire: “Sfornare bugie”, per rendere l’idea di chi produce menzogne a getto continuo come pani caldi che escono dal forno. Plauto aveva scritto: “Ho sentito dire che la bugia migliore è quella calda. Di qualcuno s’ironizza che “dice la verità solo quando è a corto di bugie”. Ma la menzogna spesso si rivela un booumerang che genera male anche in chi la usa, perciò il sapiente biblico ci ammonisce: “Brutta macchia nell'uomo la menzogna, si trova sempre sulla bocca degli ignoranti. Meglio un ladro che un mentitore abituale, ma tutti e due condivideranno la rovina. L'abitudine del bugiardo è un disonore, la vergogna lo accompagnerà sempre” (Sir 20,24-26).

A volte l’uomo inciampa nella verità; ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada” (Winston Churchill). Ci sono, infatti, per tutti, rivelazioni di luce, intuizioni, evidenze. Eppure quante volte chiudiamo gli occhi e tiriamo avanti come prima. La verità, infatti, è esigente, severa, non sempre consola, spesso inquieta, non ammette compromessi, esige totalità; non colpisce solo la mente ma stringe anche la vita. Anatol France, confessava: “Amo la verità. Credo che l’umanità ne abbia bisogno. Ma ha un bisogno ancor più grande della menzogna che la lusinga, la consola, le dà speranze senza limiti”. Spesso ci si aggrappa alla menzogna per illuderci, per comodità, per vantaggi personali. Lentamente, come accade in certe persone, si può persino scambiare la falsità per verità. Eppure la coscienza sempre avverte quando la verità ti si presenta innanzi. Ed è solo con una libera decisione che devi “continuare per la tua strada”, non ignorando la pietra della verità che si erge solida e stabile. “La verità è come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana” (Riccardo Baccelli, Mulino del Po). È vero, seguire la verità può costare in termini economici, di carriera, di quieto vivere. Ma quanto più alta è la pace dello spirito per chi ha scelto di fondare la sua esistenza su quella ‘pietra’ ferma e sicura!

La reazione a tutto ciò potrebbe essere di scandalizzarsi, come fecero di fronte alle parole del Signore: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo: se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51), e si potrebbe esclamare: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?" (Gv 6, 60). Per cui «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67). È stato detto che “Il più grande progetto è sempre quello di prendere una decisione” (Vauvenargues). E viene sempre il momento della grande decisione! Bisogna decidere da che parte stare. “Scegliere Cristo è questione di tutto o niente, non c’è giusto mezzo” (Roger Schutz). Se si vuole seguirLo fino alla fine, bisogna sapere che si va incontro a difficoltà e a incomprensioni. È stato sempre così! Compromettersi per Dio; decidersi per Dio; schierarsi dalla parte di Dio, richiede sempre un taglio, un distacco. Ma dove possiamo trovare la vita se non nella Sua divina Parola? Quando Benedetto XVI denunciava la “crisi di valori” che sta attraversando la nostra società; quando diceva che “il nostro tempo è un tempo di relativismo”, tempo di “pensiero debole”, qualcuno si affrettava a commentare che, se continuava così, la Chiesa rischiava di rimanere sola! Il beato Paolo VI diceva:Poco importa che siamo pochi, e anche se siamo soli. La nostra forza è essere nella verità. Noi non siamo obbligati a rispettare l’opinione della maggioranza. Non dovremmo temere, un giorno, d’essere forse in una minoranza, se saremo fedeli; non arrossiremo dell’impopolarità, se saremo coerenti: non faremo caso d’essere dei vinti, se saremo testimoni della verità e della libertà dei figli di Dio”. La vera forza che muove la storia non è nella massa amorfa e spesso trainata a rimorchio. È in alcuni pochi che sanno e fanno, che s’impegnano e si votano a un ideale. «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67). Gesù non è stato mai preoccupato della quantità; non sapeva che farsene di quelli che lo seguono in maniera superficiale. È stato disposto a rimanere solo, piuttosto che scendere a compromessi. Cristo, il Papa, la Chiesa non si aspettano applausi. Non è annacquando la Parola di Dio, che la vita cristiana diventa più bella! Non è rendendo più facile la legge di Dio, che aumentano i cristiani! Si segue Cristo senza condizioni! Prima si crede, e poi si comprende! “Non cerco di capire per credere, ma credo per capire” (Sant’Anselmo).

Nella nostra epoca gli uomini sembrano più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l’informazione (Thomas S. Eliot). Sì, spesso si scambia la sapienza con le teorie e si confonde la dottrina con una superficiale informazione. È necessario, a mio modesto parere, “ri-proporre” la conoscenza seria delle verità di fede.

 

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