Come il giorno ricomincia sempre da capo, così l’anno liturgico ricomincia con il tempo di Avvento in preparazione al Natale e… continua. Non è un film già visto, ma sempre una cosa nuova, perché viviamo il tempo dell’attesa, il tempo del desiderio.
È stato detto che “l’uomo è una creatura del desiderio non del bisogno” (Gaston Bachelard). Il desiderio è qualcosa che discende dalle stelle (de sideribus), ed è alle stelle, cioè all’infinito e all’eterno che ci spinge. Purtroppo, il dramma dell’uomo moderno è quello della caduta del desiderio, della ricerca, della tensione, dell’inquietudine. Abbiamo tutto e non ci aspettiamo più nulla! Per questo siamo sempre più insoddisfatti sempre più frustrati. Il possesso non è mai pieno, il desiderio non è mai sazio.
Torna, allora più che mai utile l’invito di Gesù a stare svegli, a essere attenti, a non lasciar cadere la tensione e il desiderio di qualcosa, di Qualcuno che deve venire. In realtà, senza il fremito del desiderio e della speranza, la vita diventa grigia e triste, non si spera più, non si aspetta più, non ci si impegna più. Un racconto rabbinico dice che il mondo poggia sopra dodici colonne, e queste hanno fondamento sul cuore di dodici giusti. Su questi ultimi grava tutto il peso del male nel mondo.
E se venisse a mancare anche una sola di queste colonne e di questi cuori, il mondo crollerebbe. Nel tempo della sua prolungata assenza – tempo dello Spirito e frattempo della Chiesa – Gesù consegna il destino del mondo al cuore amante dei suoi discepoli presenti e futuri. Noi, come gli Apostoli, non siamo mai soli! Abbiamo lo Spirito di verità, il Paraclito che “Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26). Viviamo, perciò l’avvento nello Spirito, respiro e principio di nuova continua creazione.
Forse con Pietro ci chiediamo: “Quo vadis, Domine?” Dove vai, Signore? Gesù con la sua vita ci ha insegnato che tutta la nostra esistenza è un grande viaggio, un continuo esodo e avvento, un uscire per andare e un accogliere per amare.
E viaggio significa sradicamento. Noi siamo tutti in viaggio in un sentiero pieno di frastagliamenti e complicazioni, che implica continui sradicamenti e ripetute partenze, per arrivare e ripartire. Da quando siamo “partiti” dal grembo della Trinità per nascere a questo mondo fino al ritorno in quel grembo di Amore, siamo sempre in viaggio, come Abramo.
E la vita ci sposta, ci spiazza, ci spianta e ci sradica. Attenzione, però, a non cadere nella tentazione dei discepoli: «la tristezza ha riempito il vostro cuore» (Gv 16,6). Solo nel coraggio del distacco e dello sradicamento possiamo imparare a vivere d’amore, per morire d’amore. Possiamo imparare l’arte di abbracciare senza trattenere, amare senza possedere, annunciare senza aspettare. Ed è proprio in questo “senza” la nostra e altrui libertà; è in questa “sottrazione” la moltiplicazione della nostra giustificazione, cioè della santità che “sopporta” l’intera umanità sull’altare del cuore. E allora… verso dove sto andando?
Lo Spirito Santo ci rende capaci di vivere e di vedere i giorni e giudicarli come Gesù stesso. Ne è una dimostrazione concreta, la vita dei santi, che celebrando il tempo liturgico nella Chiesa e con la Chiesa hanno spiegato le loro vele al soffio dello Spirito, e sono stati guidati per vie che hanno provocato un santo stupore. Il credente in Cristo sa che il futuro sarà sempre più bello del presente, e che non dipende dagli anni del calendario: non dal tempo-kronos ma dal tempo-kairos.
Il tempo-kairos, infatti, è portatore di una promessa, che non sarà delusa: questa promessa è il Regno di Dio. La venuta del Regno di Dio è più certa del levarsi del sole, e saremo profondamente incoerenti con noi stessi, anzi, saremmo i “più miserabili tra gli uomini”, se dimenticassimo che il tempo-kairos e noi con esso camminiamo verso l’adempimento della storia e delle promesse di Dio.
La logica del tempo nell’anno liturgico che iniziamo vuole farci celebrare il mistero pasquale nell’ordinarietà della vita della Chiesa, come sequela del Signore Gesù. La Liturgia domenicale, infatti, celebra sempre il mistero pasquale del Signore morto e risorto. Quindi, nell’ordinarietà della vita, e nella sequela del Signore, passo dopo passo siamo chiamati a trasformarci a immagine di Colui che ci segue, pur nella fatica e nella povertà di un’infedeltà sempre presente. Camminare verso Dio non è un avanzare verso un futuro incerto.
È andare per mano di Cristo verso il Padre. È tendere verso la meta portando con noi un gran numero di fratelli e sorelle. Camminare verso Dio è vivere il presente come dono, vivendo insieme come comunità di persone che sognano il momento in cui sarà tutto in tutti. All’inizio dell’anno liturgico, auguriamoci di poter vivere in pienezza ogni istante che Dio ci manda non per accumulare peccati, ma per fare opere di bene.