“Castelli di rabbia” è un libro di uno degli scrittori più famosi del Novecento italiano: Alessandro Baricco.
Pubblicato nel 1991 riscosse molto successo fino a vincere uno dei premi più ambiti il “Prix Médicis étranger” nel 1995.
Sfogliando le prime pagine ci si immerge in un mondo di fantasia, si salgono le scale di castelli fatti di sogni, i sogni dei suoi protagonisti, che pur di arrivare fino alle torri dei loro desideri, impiegano tutta la loro vita a studiare il modo di raggiungerle.
Gioie spezzate, frasi staccate, squarci di storie, petali di fiabe, frasi cadute e poi riprese, racconti sospesi, lacrime stracciate, questo è lo stile dello scrittore contemporaneo che affascina i lettori: brioso, singolare, per certi versi è anche una scrittura che suscita meraviglia e confusione nella contemporaneità della mente di chi legge.
Sfogliando le pagine, l’autore ci racconta dell’incantevole e nel contempo peculiare storia d’amore tra Jun e Dann Rail, dei suoi viaggi fatti di rotaie, della comprensione e dell’amore di lei, tra le righe si scioglie la storia di Pekish, l’uomo senza la sua nota, ma le cui orecchie odono suoni invisibili, note nascoste, sinfonie perdute, il cuore della musica; e il suo eterno amico Pehnt, ingolfato da una giacca troppo grande per le sue piccole spalle, unico ricordo rimasto di ciò che non ha mai conosciuto, la vedova Abegg, rimasta attaccata ad un’amore di carta per tutta la vita, e infine Mormy il ragazzo dalla bellezza strabiliante, dagli occhi fermi negli istanti della vita più impensabili.
La storia più bella e più affascinante tra i versi di questo romanzo senza tempo è l’utopia dell’architetto Hector Horeau, peraltro personaggio realmente esistito, e celebre in tutto il mondo per essere il fautore del progetto del Crystal Palace londinese, l’enorme palazzo di vetro costruito nel 1850 nell’Hyde Park.
L’ideale di questo architetto si protrae per tutta la vita regalandoci colpi di scena e numerosi emozioni, che si spargeranno fino a confluire nei finali di tutte le storie che ci lasceranno per sempre un ricordo inesprimibile.
Ritaglio per il cuore di lettori questo piccolo brandello di righe per ricordare sempre che i sogni sono i castelli su cui dobbiamo salire, per inseguirli e non lasciarli mai, cercarli anche quando sembra che vogliano celarsi:
“che se uno li vedesse da lontano potrebbe ben chiedersi cosa diavolo fanno quei due,
in mezzo alla campagna, con gli occhi fissi per terra, passo dopo passo, come insetti,
e invece sono uomini, chissà cos’hanno perso di così importante per strisciare in quel modo
in mezzo alla campagna, chissà se lo troveranno mai, sarebbe bello se lo trovassero,
che almeno una volta, almeno ogni tanto, in questo dannatissimo mondo, qualcuno che cerca
qualcosa avesse in sorte di trovarla, così semplicemente, e dicesse l’ho trovata,
con un lievissimo sorriso, l’avevo persa e l’ho trovata – sarebbe poi un niente la felicità.”