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I barbari: saggio sulla mutazione

“Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c’è il campo intero”

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Alessandro Baricco riunisce una serie di articoli pubblicati su Repubblica nel 2006, in un libro con qualche modifica e piccola aggiunta. In quest’opera lo scrittore tenta di descrivere la trasformazione avvenuta nell’uomo con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione. In questo percorso di ricerca la “mutazione” è raffigurata come un “invasione barbarica” che provoca tanto sgomento da condurre il lettore, e in primis l’autore stesso, ad una serie di interrogativi per meglio comprendere questo fenomeno.

I termini “barbari” e “mutazione” sono ripresi da Pier Paolo Pasolini; per lui stavano ad indicare gli appartenenti al sottoproletariato o chi vive in condizioni di indigenza al sud Italia. Il termine quindi non assume connotazione negativa. Per Baricco i barbari, invece, sono coloro che sono nati all’epoca di internet e che hanno trasformato l’idea di “cultura” imponendo nuove idee di qualità, velocità e profondità. Al contrario di chi porta avanti idee apocalittiche, lo scrittore ritiene che i barbari “non hanno ucciso le culture povere”. Bisogna continuare a credere nella qualità anche se il mondo propone prodotti diversi. Questo fenomeno di profonda trasformazione culturale ha inizio dalla metà degli anni Settanta formando una letteratura diretta ai giovani. Di conseguenza, l’editoria e il mercato si adattano al cambiamento, ampliandosi. Questo principio, riferito alla letteratura, vede mutare la sostanza del libro. Tutto ciò perché i libri, oggigiorno, provengono da realtà diverse  dalla matrice letteraria, raccontando qualcosa che è stato già raccontato o che è successo altrove, in altre forme. Danno però al prodotto un valore aggiunto: l’esperienza. Questa è frutto di pazienza, studio ed erudizione; una sorta di discesa dentro noi stessi che riporta alla luce il senso, il vissuto e l’intensità del vivere. I barbari vedono l’esperienza come linea di passaggio: “Fare esperienza vuol dire passare in esse solo per il tempo necessario per ricevere una spinta volta a passare oltre.” Il mutante non ha pazienza, al contrario dei suoi predecessori.

Per Baricco caratteristica peculiare della letteratura è la fatica che permette di dare un senso profondo alle cose attraverso un movimento verticale che concede di passare dalla superficie al nucleo. Per i barbari questo principio è nullo, infatti per loro non esiste fatica. Di conseguenza non esiste profondità e si crea un movimento orizzontale che ci trattiene in stallo sulla superficie. In compenso questa superficie diventa più ampia e ricca di connessioni che mancano nel caso del movimento verticale. Il barbaro pensa meno ma lo fa attraverso reti più estese, coprendo in orizzontale un movimento verticale profondissimo che siamo abituati ad immaginare. “Se tutti devono fare tutto è difficile che tutti facciano tutto benissimo:ecco la famosa tendenza alla medietà, tipica delle mutazioni barbare.” Ciò a sottolineare che la regressione di una capacità libera una moltiplicazione di possibilità.

La metafora per eccellenza di questa curiosa mutazione è quella delle branchie: il mondo della rete, quello telematico, si muove con scivolamenti continui come fanno i pesci; noi perdiamo, quindi, i polmoni che sopperiscono alle branchie. Il mondo non si è solo lasciato invadere dalla mutazione ma vi si è anche prontamente adattato senza troppe storie.

La capacità di scrittura di Baricco è evidente nel riscontro dei suoi lettori su ampia scala. La stesura è caratterizzata da una fluidità piacevolissima e, a tratti, poetica. La furbizia dell’autore sta nell’autodefinirsi collocandosi tra coloro che anticipano i barbari ma, in vero, possiamo riconoscere in lui alcuni tratti tipici di questo genere, in quanto egli stesso nasce da un ambiente estraneo alla letteratura (è infatti musicologo ed emerge da un contesto televisivo). Indubbia resta però la sua capacità nell’andare al centro delle cose, sarà forse per questo che non ama essere etichettato come appartenente al popolo invasore?

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